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Clio e marte: online Zapruder n. 2/2003

Sono passati quasi 15 anni da quando, il 15 febbraio 2003, Roma è stata attraversata da quella che per molti è la manifestazione più partecipata di sempre con quasi 3 milioni di persone in corteo…

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Concepito mentre la seconda «superpotenza» mondiale manifestava contro l’invasione statunitense dell’Iraq, il secondo numero di «Zapruder» (settembre-dicembre 2003) si interrogava sul significato della guerra, o meglio sul rapporto tra guerra, storia e memoria. Non si tratta né di una coincidenza, né dell’uso opportunistico di un momento culturalmente ricettivo nei confronti di questo tema. La scelta era figlia di un’attitudine caratterizzante il progetto Storie in Movimento e dell’impegno a intervenire nel dibattito pubblico con le risorse critiche della ricerca storiografica. Più che la guerra, infatti, il concetto al centro dell’impianto del numero è quello di uso pubblico della storia, che negli anni Novanta era stato al centro di molte riflessioni sul passato.

Copertina di Zapruder, n. 2 (set-dic 2003)

Copertina di Zapruder, n. 2 (set-dic 2003)

Concentrandosi sul caso italiano, il curatore Eros Francescangeli partiva dall’uso della storia come «“pezza d’appoggio” per l’analisi del presente» tesa a far passare come inevitabili precise scelte politiche, tanto da parte dei gruppi sociali dominanti quanto, di contro, da chi vi si oppone. Più che l’uso improprio della storia, il numero affrontava e analizzava il suo uso politico o meglio quello bellico: dall’anniversario della battaglia di El Alamein fino alle scritture antiturche del XVI secolo passando per gli scatti di Mario Dondero e una ricognizione sul web nostalgico della Rsi.

A richiamare l’attenzione di «Zapruder», allora come oggi, non era tanto il fatto che la storia venisse «utilizzata da coloro che storici non sono», cosa invece «auspicabile», quanto il fatto che storici e storiche, divulgatori, giornalisti e commentatori si rivestissero del “distacco” professorale che faceva sembrare inattaccabili le loro distorsioni. Vale la pena rileggere questo numero a distanza di tempo, proprio oggi che l’etichetta Public history ha sostituito la discussione sull’uso pubblico, indugiando fin troppo su una risposta professionale a un problema decisamente politico.

Grazie a Giulia per aver digitalizzato questo numero.

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