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Block the box su «Le Monde diplomatique»

È apparsa sulla “diploteca” di «Le Monde diplomatique – il manifesto[icon name=”external-link” class=”” unprefixed_class=””]» di novembre 2018 (n. 11, a. XXV) una bella recensione, firmata da Luca Alteri, di Block the box, il numero 46 di «Zapruder» curato da Niccolò Cuppini, Mattia Frapporti e Ferruccio Ricciardi, che vi proponiamo nella rubrica “Dicono di noi”.

Recensione di Block the box

di Luca Alteri

Migrante, spesso occupante di case, rifugiato politico e richiedente asilo, quasi sempre iscritto a un sindacato conflittuale: le caratteristiche del lavoratore-tipo della logistica costituiscono una serie di criticita, rispetto alle correnti linee del capitalismo e della politica neoliberista. Allo stesso tempo, rappresentano anche i fronti piu avanzati di una lotta che, almeno nella sintesi offerta dal settore della movimentazione merci, non arretra, anzi precede. E vince. Singole battaglie e non la guerra in generale, magari, ma vince. Rara avis, ai giorni riostri. La schiavitu nel comparto della logistica e ufficialmente terminata, per quanto non ovunque: i lavoratori hanno conquistato l’inserimento in un sistema contrattuale quantomeno moderno – e non medievale – i sindacati conflittuali hanno una piena, forse esclusiva, agibilita nei magazzini (mentre quelli confederali sono “recintati” alla busta paga delle associazioni padronali), le vertenze hanno un repertorio di azione che risponde alla logica del “danno economico” (nei confronti del padrone), vale a dire non scendono mai sotto ii livello del picchetto e del blocco delle merci, i rappresentanti delle lotte e i delegati sindacali hanno conquistato ii pieno accesso al tavolo delle trattative, partendo da una condizione nella quale venivano umiliati, a volte persino picchiati. È stato facile ottenere tutto questo? No, e dovuto scorrere sudore e sangue. È stato raggiunto ii paradiso del lavoratore? Ovviamente no, c’e sempre molto da fare ma – nell’attuale contesto in cui la logistica plasma la polity delle città e incide sulla politics degli Stati – e lecito affermare come i lavoratori del comparto rappresentino l’avanguardia di chi lotta per la propria dignita e per l’emancipazione. Non solo: quegli stessi lavoratori, non a caso, adesso “escono” dai magazzini e osservano cosa succede nel mondo del lavoro “di fuori”, trovando notevoli affinità con le dinamiche lavorative conosciute “là dentro”. È stato premiante, in tal senso, ii sapere politico ottenuto nel momento in cui le esperienze derivanti dalle multi-appartenenze (rifugiato, occupante, lavoratore) si sommano e non si elidono, nè si pongono in contraddizione, smentendo – quindi – l’assunto, in voga anche in una sinistra dalle corte vedute, per cui ii lavoratore straniero inevitabilmente causera dumping sociale e nocumento alle condizioni lavorative degli italiani. Non quando ii lavoratore straniero viene organizzato e si auto-organizza, non quando è ii primo a rifiutare compromessi e accordi a ribasso, non quando percepisce quella “condizione di classe” che troppo spesso oggi consideriamo irrimediabilmente perduta.

Si pone, adesso, un’altra questione: come raccontare tutto cio? Per farlo, ci affidiamo nuovamente alla Zeta di Zapruder, nello specifico del numero della rivista di Storie in Movimento dedicato alle lotte nella logistica e all’analisi dell’economia dei flussi. I curatori Niccolò Cuppini, Mattia Frapporti e Ferruccio Ricciardi confezionano un fascicolo “geometrico”, con ii quale puntano direttamente al quartier generale, vale a dire la presunta a-storicita del sistema globale, «dove si realizzerebbe finalmente la grande fantasia de! rapporto sociale di capitale, ossia la sua completa autonomizzazione dal lavoro» (p.2). Niente di piu falso, sostengono i nostri Autori, dal momento che proprio ii campo della logistica restituisce sincerita al «soggiacente conflitto storico tra lavoro e capitale» basandosi su condizioni sociali “produttive” che si pongono come complementari alle innovazioni tecnologiche dell’industria 4.0, esattamente come ii sudore e la fatica che albergano nei magazzini sono la “coscienza sporca” di un mondo che parla ii linguaggio dei big data e che domani sposterà le merci mediante capsule “sparate” da un meccanismo gravitazionale. La linea delle contraddizioni capitalistiche continua, appunto, attraverso la metafora dei flussi, terribilmente regolati da barriere e confini fisici, con la gestione delle migrazioni progressivamente colonizzata proprio dai dispositivi e dal lessico della logistica; quest’ultima, poi, ha un padrone nuovo, l’Algoritmo, ma una storia antica, che oggi accomuna mastodontici container a esili rider, foglie al vento nella Città. Fino ad arrivare alla discrasia che esalta l’orgoglio operaio: lì dove abbiamo magazzini isolati e lavoratori “reietti”, troviamo un movimento di lotta che supera le frontiere, si muove in una naturale simultaneità e mette in ginocchio i padroni. E vince.

Ma vince anche Zapruder, ancora una volta, per la capacità incredibile e “inattuale” di trovare un equilibrio tra militanza e ricerca, rifiutando le imposizioni accademiche ma stando pienamente dentro le scienze sociali. Viene in mente Giuliano Della Pergola del 1974 (Diritto alla città e lotte urbane, p.8): «L’intellettuale è testimone e narratore dei fatti collettivi che lo circondano: nell’insegnarli agli altri risiede la sua, almeno parziale, capacità di partecipazione e ri-comprensione: fermo restando, pero, ii fatto che la lotta sociale si esprime sempre “fuori” dell’Accademia, con altri soggetti storici e con criteri alternativi all’istituzione universitaria».

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