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Quando il negazionismo sbarcò in rete

Rudy non è più, abbiamo scritto sulle nostre pagine social. Storie in Movimento ha sempre avuto con lui un forte legame, fatto di scambi e collaborazioni, nate da quel comune interesse per l’intreccio tra «filosofia, politica e storia del presente», come dice il sottotitolo del suo blog. Dicevamo di volerne ricordare l’intelligenza, l’ironia, la gentilezza e la determinazione ed è per questo che abbiamo scelto di rileggere e rimettere in circolazione un intervento scritto a più mani, fra cui le quattro di Rudy e Vincenza, nel 1998 per una rivista oggi del tutto sconosciuta: «altreragioni». A tre decenni di distanza, scorrerne gli indici fa apparire ancora chiaramente la lungimiranza dei temi messi a fuoco da quell’esperienza editoriale e politica (1992-2000). Così come ci sono apparse lucidissime le riflessioni sviluppate nel contributo che vi proponiamo sul negazionismo in rete, tornatoci utile già nel 2018 per il numero 45 di «Zapruder» e crediamo ricco di spunti ancora oggi.

N.B. Negazionismo virtuale: prove tecniche di trasmissione («altreragioni», n. 7/1998, pp. 175-181) era stato ripubblicato nel maggio 2007 da Rudy e Vincenza nei loro rispettivi blog (Incidenze e Marginalia) in una versione arricchita di link e rimandi come adesione a questo appello. Per agevolarne la lettura, abbiamo aggiunto la divisione in paragrafi e aggiornato i vecchi link non più funzionanti, oltre ad adeguare alcuni aspetti formali alle nostre norme. Ogni intervento maggiore è stato segnalato tra parentesi quadre.

Rudy M. Leonelli - SIMposio 2013
(SIMposio 2013)

Negazionismo virtuale: prove tecniche di trasmissione

di Rudy M. Leonelli, Luca Muscatello, Vincenza Perilli e Leonardo Tomasetta (1998 e 2007)

In un recente studio Alain Bihr indica tra le condizioni che, negli ultimi anni, hanno permesso al verbo e al credo revisionista di uscire dai circoli ristretti in cui era costretto, l’affermarsi di una sorta di relativismo generalizzato:

tutti i punti di vista si equivalgono, non c’è più criterio che permetta di distinguere chiaramente il vero dal falso, il reale dall’illusorio, il bene dal male; a ciascuno forgiarsi la sua opinione, e d’altronde tutte le opinioni sono accettabili quando sono sincere. Questa assenza di criteri è del resto celebrata dall’ideologia postmodernista come una liberazione, come l’accesso a un mondo in cui l’individuo può moltiplicare i punti di vista, simultaneamente o successivamente: intrecciarli senza curarsi della loro coerenza, o praticare una sorta di nomadismo identitario, cambiando di “visione del mondo” come di camicia.[1]

Le reti telematiche sono diventate uno dei luoghi privilegiati di riproduzione e sperimentazione di questo relativismo, popolarizzato da riviste come «Wired»: «All’improvviso, la tecnologia ci ha dato poteri che ci permettono di manipolare non solo la realtà esterna, il mondo che ci circonda, ma anche e soprattutto noi stessi. Potete diventare tutto quello che volete essere».[2] Per questo sarebbe sbrigativo e troppo facile liquidare l’utilizzo delle reti da parte del revisionismo telepragmatico come un semplice epifenomeno. Non si tratta di un effetto collaterale, ma di una reale deriva del nomadismo identitario. «L’ideologia contemporanea della comunicazione è caratterizzata dall’effimero, dalla dimenticanza della storia e del perché degli oggetti e del loro assemblaggio sociale».[3] Il revisionismo si articola facilmente, e in modo quasi “naturale”, con questa ideologia.

Abbiamo per ora sollevato il problema. Qui, non affronteremo il fenomeno globale dei file e dei web revisionisti nel mondo,[4] ma ci limiteremo all’analisi di alcuni aspetti di un episodio specifico, che può essere letto come caso limite nel contesto del revisionismo virtuale.

European counter network (Ecn.org): uno spazio antagonista telematico

Nell’ottobre del 1990 si diffonde in Italia, dopo una breve fase sperimentale la rete telematica antagonista European counter network (Ecn). Se inizialmente la rete era espressione diretta di una struttura già esistente – il Coordinamento nazionale antinucleare antimperialista – nella quale le realtà locali svolgevano funzione di verifica preliminare dei messaggi immessi,[5] in seguito si apre un dibattito che, nel confronto-scontro con altre esperienze, porterà Ecn a divenire rete “aperta” al contributo di singoli, senza nessuna restrizione e forma di controllo. Questo processo è in un primo tempo animato dalla tensione verso un nuovo modello di relazioni politiche e comunicative: si cerca di chiudere, o superare, una impostazione in qualche modo “autocentrata” su alcuni nuclei militanti che hanno “resistito”, nell’intento di innescare una dinamica espansiva, caratterizzata dall’apertura ad una pluralità di “soggetti” e situazioni. Le possibilità offerte dalla telematica e dal suo uso alternativo e/o antagonista sembrano rilanciare a vent’anni di distanza e ad un nuovo e più alto livello le potenzialità aperte dalle radio libere. Il parallelo tra le due esperienze è ricorrente e in certo senso spontaneo. Ma il confronto con le radio degli anni Settanta che – dato il carattere quanto meno non generalizzabile di quell’esperienza – potrebbe suggerire una riflessione critica, è spesso sviluppato in termini autocelebrativi, che appiattiscono il dibattito sulle posizioni più viete.

Nella gestione quotidiana di questo passaggio prevale, a scapito delle sollecitazioni più problematiche, un senso comune di impronta dualistica che – in ossequio alla logica binaria – contrappone coppie terminologiche antagonistiche quali: chiuso/aperto, rigido/fluido, verticale/orizzontale, spesso riassunte nell’onnicomprensiva e futile dicotomia vecchio/nuovo, tatuata sulla pelle subculturale di una supposta comunicazione a/ideologica. Non sarà raro reperire in testi teorici e in messaggi ordinari le tracce di un impianto che taglia il mondo in due parole-chiave inconciliabili (o distingue due mondi storicamente sfalsati): lo “stalinismo” e la deregulation.

L’esperienza effettiva dell’uso della rete Ecn mostrerà presto nuovi limiti: al primitivo uso “militante” – spesso ridotto ad una sorta di utile, ma limitato “bollettino” – e alla diffusione di contributi teorici, italiani e non, si affianca un tipo di “comunicazione” atomistica, dove la pregiudiziale apertura espone al permanente rischio di ridondante dispersione, e (in particolare nel caso che esaminiamo) iniziano a comparire discussioni che degradano in scambi di invettive. Lontano dall’essere prerogativa esclusiva della rete Ecn, si tratta di un fenomeno normale nella “comunicazione” telematica, tanto che negli Usa è stato coniato il termine electronic harassment (in gergo flame): “a mano a mano che cresce il traffico in rete, aumentano messaggi osceni, insulti, minacce, una versione postmoderna delle vecchie lettere anonime”.[6]

A dispetto delle visioni dei profeti dell’era digitale, si va configurando nel cyberspazio uno scenario implosivo. Ai limiti strutturali della comunicazione telematica – riduzione della funzione linguistica alla reazione stimolo-risposta, divieto di replica e di circolarità dello scambio comunicativo, sussunzione dei filtri e dei selettori alle finalità autoreplicative del sistema binario, ecc. – si aggiungono, con l’espandersi della rete, quegli effetti di “ridondanza” e di “rumore” (Luhmann) che, ove non si riesca a governare l’accresciuta complessità dell’informazione circolante, porterà ad una soluzione autistica della stessa comunicazione telematica.

Il caso del collettivo Transmaniacon a Bologna

Ma veniamo al negazionismo. Nel novembre 1992, certamente al di fuori di molte speranze puntate sul progetto Ecn, vengono immessi nella rete i primi messaggi revisionisti ad opera del collettivo “Transmaniacon” di Bologna.[7] Il file che inaugura questo esperimento, La provocazione revisionista, è la trascrizione di una intervento transmaniaco trasmesso della neonata Radio K Centrale (Rkc). Spicca, in questo testo, la lapidaria frase di Faurisson:

Le pretese camere a gas hitleriane e il preteso genocidio degli ebrei formano una sola e medesima menzogna storica, che ha aperto la via ad una gigantesca truffa politico-finanziaria, i cui principali beneficiari sono lo stato d’Israele e il sionismo internazionale, e le cui principali vittime sono il popolo tedesco, ma non i suoi dirigenti, il popolo palestinese tutto intero e, infine, le giovani generazioni ebraiche che la religione dell’Olocausto chiude sempre di più in un ghetto psicologico e morale.

È con queste idee “nuove” che la periferia padana cerca di allungare il passo per raggiungere il “centro” dell’impero. Spingendo al parossismo la violazione dei “tabù”[8] si può forse saltare sul carro della costituenda nazione digitale: “Il mondo collegato è la più libera comunità d’America. I suoi membri possono fare cose inaccettabili altrove nella nostra cultura”.[9]

Ha inizio un gioco che continuerà a lungo, con l’immissione di file firmati con soprannomi, acronimi e vari pseudonimi.[10] Rispetto all’uso storico di questo espediente in ambito revisionista,[11] la sperimentazione telematica del nomadismo identitario introduce nuove possibilità di gioco. Usando contemporaneamente diversi pseudonimi uno stesso soggetto può costruire in tempo reale un discorso su diversi livelli, inscenando un personaggio A che collabora all’introduzione del discorso revisionista, un personaggio B che, pur non condividendo a pieno tale discorso, lo ritiene un’utile sollecitazione, e un personaggio C che, mentre ostenta distacco per le dinamiche che ha contribuito a scatenare, solidarizza con A in nome della tolleranza e della libertà di espressione.[12] La presunta “dissoluzione del soggetto” nel cyberspazio si rovescia in un protagonismo indiscriminato, spinto fino al sintomatico genere della (auto)intervista; mentre la celebrata pluralità dei punti di vista diviene mera simulazione. Il carattere duttile e segmentario della comunicazione non manifesta una intrinseca potenza liberatoria: il concatenamento flessibile di una serie di segmenti rigidi può funzionare a cingolo di carrarmato.

Ma più importante della produzione propria, costituita da interventi di scarso rilievo, l’operazione del collettivo Transmaniacon consiste nell’immissione in rete di traduzioni di testi del negazionismo, interventi relativi allo stesso e informazioni su iniziative e progetti editoriali negazionisti.

La “ribellione” negazionista

La cifra ideologica dell’intera operazione è l’uso del materiale negazionista ai fini di uno smantellamento – da un punto di vista “rivoluzionario e di classe”- dell’antifascismo. Ma la critica dell’antifascismo consensuale e celebrativo sviluppata dai movimenti di estrema sinistra nel dopoguerra subisce una torsione verso un anti-antifascismo che ne altera violentemente la valenza, e la cui pretesa efficacia “sovversiva” diviene sempre più inverosimile a fronte delle trasformazioni postfasciste in atto nella cultura e nella costituzione italiana.[13]

Questo carattere improbabile è accentuato dal fatto che la sequenza dei messaggi disegna un’oscillazione tra il richiamo a matrici di ultrasinistra e una cultura del disincanto (“fine della Storia” e delle “ideologie”, estraneità alla dicotomia destra/sinistra, etc.). Si potrebbe parlare, da questo punto di vista, di un revisionismo commutatore, o “di cerniera”, che riversa relitti di ideologie rivoluzionarie e scampoli di fraseologia marxista sulle spiagge piatte del “dopo-storia”.

Occupazione contro Ernst Nolte - Bologna 1992
(da Zic.it)

Il tratto dominante è il recupero del negazionismo di Rassinier, Faurisson e Vieille Taupe di Pierre Guillaume[14] che, a differenza del revisionismo relativizzatore (riassunto nella figura emblematica di Nolte), dovrebbe prestarsi ad un uso rivoluzionario o “anticapitalista”.[15] L’opposizione a Nolte, sancita nel febbraio del ’92 proprio a Bologna dall’occupazione pacifica dell’aula in cui lo “storico” avrebbe dovuto tenere una conferenza organizzata dai Cattolici popolari, viene fatta valere come segno di appartenenza all’ambito in cui si intendono introdurre le tesi negazioniste. Si tratta, però, di un passaporto alterato, in quanto il blocco di Nolte è trasformato dalla retrospettiva versione “situazionautica” nella generica contestazione di “una star”. Questa riduzione a critica dello “spettacolo” è introdotta per cancellare o diluire il segno forte di contestazione del revisionismo iscritto nell’assemblea che si era svolta nel corso dell’occupazione e nei volantini che l’avevano promossa.[16]

Il motivo antiaccademico ha un ruolo di primo piano: al revisionismo “ufficiale” di Nolte viene contrapposto il negazionismo, presentato coi crismi della persecuzione. Un filone che appare immediatamente “sovversivo” in quanto trasgressivo, irriverente e, soprattutto, marginalizzato e censurato. L’opposizione “ribellista” del negazionismo al revisionismo relativizzatore sarà inficiata nei fatti dalle posizioni assunte dallo stesso Nolte.[17] La vanificazione di questa pretesa inconciliabilità troverà definitiva sanzione con la pubblicazione, da parte dell’editrice che ha realizzato la nuova traduzione italiana de La menzogna di Ulisse, di Paul Rassinier[18] – preannunciata dai transmaniaci in Ecn – di un volume che comprende tra gli altri un intervento di Nolte che ribadisce la possibile integrazione del negazionismo.[19]

Sarebbe sterile seguire il magma dei file transmaniaci, mostrando le forzature e i travisamenti imposti ai testi, il penoso tentativo di mettere a servizio dell’operazione frasi strappate da Adorno, Brecht, o Fortini, dipanare il fitto groviglio di autocontraddizioni e mutamenti di registro. Interrogando, a distanza di tempo, il senso di quella impresa, si può scorgere in essa una valenza che travalica la pur emblematica dimostrazione del fatto che talvolta l’interattività immediata “perde il suo contenuto e si ritrova trasformata in un pericoloso moltiplicatore di idiozie”.[20]

L’operazione revisionismo in rete ha svolto di fatto un ruolo “sperimentale”, diverso da quello intenzionale o dichiarato: ha funzionato come una prova in vitro, un test del grado di tollerabilità dell’intollerabile raggiunto negli ambiti alternativi, o antagonisti, trovando, oltre ad alcune puntuali risposte[21], significative e preoccupanti sacche di giustificazione o indifferenza. Anche su questa nuova zona grigia, preventivamente esplorata nel cyberspazio, si fonderanno in parte le precarie fortune dell’editoria negazionista italiana.

Note

[1] Alain Bihr, Du passé ne faisons pas table rase!, in A. Bihr et al., Négationnistes: les chiffonniers de l’histoire, Villeurbanne-Paris, Golias-Syllepse, 1997, p. 23.

[2] Wired, San Francisco, ottobre 1994, p. 107, citato in Herbert I. Schiller, I profeti dell’era digitale, in «Le Monde diplomatique/il manifesto», novembre 1996, p. 27 [orig. fr.: Id., Ces prêtres branchés de l’ère numérique, novembre 1996, p. 24].

[3] Armand Mattelart, I nuovi scenari della comunicazione mondiale. Geopolitica e reti informatiche, Le Monde diplomatique/il manifesto, settembre 1995, p. 30 [orig. fr.: Id., Les nouveaux scénarios de la communication mondiale, août 1995, pp. 24-25].

[4] Da parte di gruppi di estrema destra, l’uso delle reti non è limitato a varie forme di propaganda e coordinamento logistico (promozione di manifestazioni, azioni, etc.), ma si estende alla diffusione di materiale revisionista. Queste attività hanno raggiunto forme particolarmente sofisticate: “il nocciolo duro dell’eversione telematica è collocato ai livelli segreti di Internet, quelli che restano inaccessibili a ogni forma di ricerca. Nella maggioranza si tratta di gruppi di discussione volatili (indirizzi telematici che funzionano come una gigantesca buca delle lettere a cui ognuno può spedire messaggi sul tema in discussione), segnalati ai partecipanti sotto forma di ‘mailing list’ (lista degli indirizzi). Si accede alla lista solo su invito diretto, e i requisiti di reclutamento sono rigorosissimi. Ma Internet non è una zona sicura (nemmeno per le aree invisibili), così le comunicazioni più sensibili sono segretate con un programma di criptaggio che nessuno al mondo è in grado di decodificare senza possederne la chiave”, Franco Fracassi, Il Quarto Reich. Organizzazioni, uomini e programmi dell’internazionale nazista, Roma, 1996, Editori Riuniti, pp. 71-72. Un gruppo di hacker ha scoperto l’esistenza di una rete clandestina che interconnette le frange più estremiste di gruppi neonazisti del mondo, The Thule Network, rete europea il cui maggior link d’oltreoceano era gestito da Gary Rex Lauck, uno dei fondatori della Nsdap-ao (Nationalsozialistische Deutsche Arbeiterpartei – Auslands und Aufbauorganisation, Partito nazionalsocialista dei lavoratori – organizzazione per l’estero e la costruzione). Fin dagli anni Settanta, Lauck ha svolto un ruolo di primo piano, creando contatti tra le varie organizzazioni neonaziste, fornendo materiale propagandistico e finanziamenti ai “camerati” europei e in particolare tedeschi. Michael Schmidt sostiene che “l’organizzazione dei nazisti per eccellenza è e rimane la Nsdap”, articolata con diverse organizzazioni di copertura (o “parallele”), che “esistono solo perché la Nsdap è illegale ma può così continuare a operare ‘legalmente’. Ecco perché il semplice divieto di questi movimenti non serve a nulla: anche se intralcia un po’ le ‘operazioni’, non incide affatto sulle strutture”, Neonazisti, Milano, Rizzoli, 1993, p. 52. Lauck è stato arrestato in Danimarca nel maggio 1995 e poi estradato in Germania, in occasione di un viaggio europeo finalizzato alla partecipazione a un congresso internazionale revisionista. Schmidt documenta i rapporti di Lauck con negazionisti quali l’ex ufficiale delle SS Thiers Christophersen, autore di Die Auscwitz Lüge (La menzogna di Auschwitz), 1973. Sul ruolo del revisionismo in una iniziazione al neonazismo negli Usa, vedi Joel Gilbert, Chi ha perso un americano?, «Altreragioni», n. 6, 1996, pp. 119-129.

[5] Cfr. International Meeting. Atti del convegno internazionale di Venezia 7-8-9 Giugno 1991, Padova, Calusca Edizioni, 1991. In particolare i materiali della Commissione comunicazione, pp. 77-118.

[6] E in rete navigano insulti e minacce, «Il Corriere della Sera», 22.7.1997.

[7] Una rassegna critica di questi file è fornita da Guido Caldiron, Liaisons romaines, in A. Bihr et al., Négationnistes…, cit., pp. 179-192. Caldiron cita da La provocAzione revisionista, a cura di Ecn Milano, febbraio 1994. Nel presente lavoro abbiamo fatto direttamente ricorso ai file originali circolati in Ecn.

[8] Nel quadro della “violazione dei tabù” il Collettivo “Transmaniacon” ha inoltre agitato il tema della pedofilia. Una simmetrica rottura dell’interdetto era emersa, già dieci anni prima, ai bordi del negazionismo francese (cfr. Didier Daeninckx, Le jeune poulpe et la vieille taupe: chronologie d’un combat des profondeurs, in A. Bihr e altri, Négationnistes…, cit., pp. 172-173).

[9] Jon Katz, Birth of a Digital Nation, «Wired», april 1997, p. 186.

[10] Due pseudonimi usati nei file revisionisti (Mastro Ciliegia e Fabrizio Belletati) riaffiorano abbinati a un nome anagrafico nel volumetto curato da Gilberto Centi , Luther Blissett, Bologna, Synergon, 1995, p. 57. Incensando la «mitologia dell’improbabile e dell’ubiquo» e la creazione di «situazioni al cui interno non esista responsabilità individuale» (p. 61), il testo fornisce un resoconto significativamente incompleto delle imprese del collettivo Transmaniacon in Ecn e Rkc: è dimenticata la provocazione revisionista (pp. 52-54). Mentre omette questa operazione, il racconto ne predispone una giustificazione pragmatica, «rivelando» la decisione di Transmaniacon di forzare i media «nella maniera più radicale possibile» (p. 50). Per questi improbabili “postpolitici”, dunque, il fine giustifica i mezzi. Ma la riduzione del negazionismo a questa (retrospettiva) intenzione strumentale non fuoriesce dal circuito revisionista, in quanto presuppone la banalizzazione del genocidio.

[11] Sull’uso degli pseudonimi nel contesto della scrittura negazionista, si veda Emmanuel Chavaneau, L’illusion d’une vie sans histoire, in A. Bihr e altri, Négationnistes..., cit., p. 200.

[12] Il genere dell’autoelogio e della solidarietà con se stesso camuffato con pseudonimi risale, in ambito revisionista, al capostipite Paul Rassinier: costui, per mezzo di articoli a firma Jean-Pierre Bermont, rivolgeva dal giornale fascista «Rivarol», ricambiati complimenti all’imparzialità e al talento di… Rassinier; che fu platealmente smascherato in un processo dell’ottobre 1964 (cfr. Florent Brayard, Comment l’idée vint à M. Rassinier, Paris, Fayard, 1996, pp. 379-380).

[13] Come osserva Lutz Klinkhammer «in Italia negli ultimi anni è stata fortemente auspicata una “conciliazione nazionale”, considerata un elemento fondamentale per una società “postfascista”. Il “superamento” del passato fascista da parte di una presunta società post-fascista presuppone però l’offuscamento dei lati negativi di questo passato [..]. Gli storici dovrebbero opporsi con il loro potenziale critico a ogni tipo di abbellimento della realtà», Stragi naziste in Italia. La guerra contro i civili (1943-44), Roma, Donzelli, 1997, pp. VII-VIII [nuova ed. 2006]. Un incisivo quadro del nuovo corso revisionistico che vuole “l’unità della patria” e la “riconciliazione generale” è tracciato nel paragrafo “Un revisionismo storico al galoppo” di Cesare Bermani, Il nemico interno. Guerra civile e lotte di classe in Italia, Roma, Odradek, 1997, pp. 74-80 [cfr. anche la recensione, a cui rimanda già la versione online dell’artiolo (2007), di Rossana Rossanda, Conflitto di memoria, «il manifesto», 4.07.1997].

[14] I reiterati richiami dei transmaniaci all’attività dei “compagni rivoluzionari della Vieille Taupe” evitano di fornire informazioni sull’esistenza, in tempi distinti, di due diverse realtà contrassegnate dallo stesso nome: dagli anni Sessanta fino alla chiusura nel 1973, la Vieille Taupe è stata una libreria che pubblicava soprattutto testi della sinistra rivoluzionaria. Alle soglie degli anni Ottanta, Pierre Guillaume – un ex esponente della prima Vieille Taupe – valendosi del diritto di proprietà del marchio, ha resuscitato l’etichetta a servizio di una nuova impresa votata alla pubblicazione di testi negazionisti. Il rapporto tra la prima e la seconda Vieille Taupe è controverso. La “nuova” Vieille Taupe è stata presente alle feste del Front national e i suoi testi sono diffusi in Francia dal circuito della ex libreria neonazista parigina Ogmios.

[15] Relativamente a Nolte, cfr. M. Tomba e V. Zanin, Fare storia per scagionare il presente, «Altreragioni», n. 6, 1997. Sul negazionismo vedi i lavori di R. Leonelli, M. Tomba e V. Zanin in questo numero di Altreragioni.

[16] Cfr. Ernst Nolte? Nein danke, «Quaderno di Ecn», Bologna, maggio 1992 [cfr. anche Febbraio 1992: la Bologna antifascista rifiuta il revisionismo di Nolte, Zic.it, 26.04.2016, dove è riprodotto integralmente l’intervento introduttivo di Rudy Leonelli dal titolo Revisionismo e nuova destra. Bologna: assemblea del 25 febbraio 1992, Aula magna occupata della Facoltà di Lettere e Filosofia].

[17] Sul conferimento, da parte di Nolte, di una patente di scientificità alle tesi dei negatori della realtà storica del genocidio perpetrato dai nazionalsociatisti per mezzo delle camere a gas, vedi Luigi Cajani, L’Occidente dopo la vittoria nella guerra civile, «Nuvole», n. 2, a. IV, 1994, pp. 35-37.

[18] La prima traduzione de La menzogna di Ulisse, a cura del “centro studi e documentazione Giovanni Preziosi”, comparsa per l’editrice Le Rune (Milano, 1966) era dedicata «a Giovanni Preziosi eroe e martire della verità». La fascetta di sovracoperta recitava: «Lo scrittore socialista Paul Rassinier ex deportato di Buchenwald distrugge la leggenda dei 6.000.000 di morti e dei cosiddetti “crimini nazisti” e svela le responsabilità dei deportati», cfr. Alfonso M. di Nola, L’antisemitismo in Italia, Firenze, Vallecchi, 1973, pp. 115-116. Sull’attività e il ruolo di Preziosi (direttore de «La Vita Italiana», curatore nel 1921 della prima edizione italiana del celebre falso antisemita I Protocolli dei Savi Anziani di Sion e di numerose riedizioni, dal 1944 direttore dell’Ispettorato generale per la razza della Repubblica Sociale Italiana) nel contesto del complesso reticolo dei razzismi del fascismo, rinviamo all’accurato catalogo della mostra curata del Centro Furio Jesi, La menzogna della razza. Documenti e immagini del razzismo e dell’antisemitismo fascista, Bologna, Grafis, 1994 [la versione del 2007 rimandava alla pagina sul sito dell’Istituto beni culturali, in parte disponibile qui]

[19] Ernst Nolte, La versione storico-genetica della teoria del totalitarismo: scandalo o perspicacia?, in Ferdinando Abbà et al., Revisionismo e revisionismi, Genova, Graphos, 1996, pp. 23-38.

[20] Riccardo Stigliano, Che cos’è una democrazia elettronica?, «Le Monde diplomatique/il manifesto», maggio 1996, p. 11 [orig. fr.: Id., Qu’est-ce qu’une démocratie électronique ?, mai 1996, pp. 18-19].

[21] Ricordiamo tra gli altri: il file Ultima.txt, firmato «alcuni compagni del Piemonte»; il netto rifiuto del “dialogo” da parte del Collettivo acéphale (file siglati AAA – Agenzia autonoma acéphale, Bologna); il documento prodotto dal Centro di comunicazione autonomo di Bologna, Contro il revisionismo storico “di sinistra”, «La comune – Progetto memoria», n. 15, 1994, pp. 20-33 [la versione del 2007 rimanda a una pagina del sito della Bologna autonomous zone dove si trovano delle informazioni generali sul «Centro di comunicazione antagonista “Francesco Lorusso”», ma la versione “autonoma” non sembra un refuso, come indicherebbero gli indici della rivista]. Ma i situazionauti hanno trovato anche apologeti: in una lettera a «Marxismo oggi», un revisionista cita tra gli altri, a testimonianza dell’esistenza di un negazionismo di sinistra: Transmaniacon, La Provocazione Revisionista, Bologna, 1994 (Carlo Mattogno, Il revisionismo in Italia, «Marxismo oggi», n. 3, 1996, pp. 168-169).

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