Luca Alteri, Xenia Chiaramonte, Alessandro Senaldi (a cura di), Politica e violenza. Teorie e pratiche del conflitto sociale, Milano, Meltemi editore, 2021, pp. 403
Simone Tuzza, Il dito e la luna. Ordine pubblico tra polizia e potere politico, un caso di studio, Milano, Meltemi editore, 2021, pp. 243
I temi della volenza politica e della gestione dell’ordine pubblico hanno attraversato da sempre le pagine di «Zapruder» e vi abbiamo dedicato anche interi volumi della nostra rivista (come “Sotto attacco”, «Zapruder» n. 32, set-dic 2013, che potete leggere interamente qui; oppure “Diritto e castigo”, «Zapruder» n. 20, sett-dic 2009, disponibile online qui). Torniamo a ragionarci insieme a Ilenia Rossini che recensisce per noi – e per voi – due volumi che arricchiscono il dibattito da prospettive differenti e speculari.
Doppia natura della violenza politica
Ilenia Rossini
Tra le questioni fondamentali affrontate nell’analisi storica, sociologica e politica della conflittualità sociale c’è sicuramente quella della violenza: talvolta edulcorata e minimizzata, talvolta sovrapposta alla criminalità e alla devianza, quasi sempre considerata appannaggio di chi si oppone al potere costituito e non del potere stesso. Negli ultimi mesi, il dibattito si è arricchito con la pubblicazione, entrambi per i tipi di Meltemi, di due volumi che affrontano questo tema: l’uno (principalmente) dal punto di vista del conflitto sociale; l’altro della gestione dell’ordine pubblico e del suo rapporto con il potere politico. La lettura consecutiva dei due libri permette di afferrare la violenza politica nella sua duplice natura di (tentato) strumento di liberazione e di mezzo di dominazione e sopraffazione delle istanze di cambiamento.
Il volume Politica e violenza, fitto e complesso, contiene tredici saggi, di taglio diverso (storico, giuridico, sociologico, filosofico, criminologico) e raggruppati in tre – significative – sezioni: Violenza, politica e diritto; Cosa è il terrorismo?; Oltre la violenza legittima. Alla base della scelta dei testi c’è la volontà di rompere con le interpretazioni che riconducono ogni atto violento con dei connotati politici alla sfera della marginalità, della criminalità e della devianza, negandone in questo modo la politicità. Nelle intenzioni della curatrice e dei curatori (Xenia Chiaramonte, Luca Alteri e Alessandro Senaldi), quello della violenza – e della violenza politica, in particolare – deve quindi smettere di essere considerato un tabù, un impensabile e un indicibile non solo degli studi sul tema ma anche della dialettica politica: «Nonostante, in apparenza, il superamento delle “classiche” forme di violenza abbia penalizzato soprattutto la dimensione della “rivoluzione” (di fatto scomparsa dai radar delle scienze sociali del Terzo Millennio), la prima vittima del pregiudizio, seppur indiretta a “involontaria”, è stata, in realtà, la lotta di classe» (p. 11). Il volume restituisce invece il concetto di “violenza politica” alla materialità della storia e del potere, «cioè del rapporto tra governanti e governati, delle relazioni tra le classi sociali, della circolazione tra sovra- e sotto-ordinati, della dialettica tra conflitto e consenso» (p. 7).
La curatrice e i due curatori del volume scelgono di mostrare il loro posizionamento politico rispetto al tema oggetto del volume: finalmente, la neutralità smette di essere considerato un valore aggiunto.
Particolare interesse, nel volume, riveste il saggio di Simone Tuzza sul rapporto tra polizia e politica nella gestione dell’ordine pubblico (Polizia: indipendente, attore politico o strumento del potere?, pp. 257-290). Dottorato in criminologia, Tuzza è autore anche del volume Il dito e la luna, nel quale si propone di indagare le modalità attraverso le quali vengono prese le decisioni di polizia e quale sia il peso della politica (governo centrale, governo locale, ecc.) nella gestione dell’ordine pubblico.
Il caso di studio che Tuzza utilizza per indagare il rapporto tra mandato di polizia e rispetto della libertà di espressione è costituito dal movimento no tav. Le fonti scelte sono le testimonianze processuali rilasciate dalle forze di polizia in un processo contro il movimento svoltosi a Torino tra il 2013 e il 2014, alcuni articoli di giornali (2005-2013) riportanti dichiarazioni delle forze politiche nazionali e locali e 14 interviste semi-strutturate a poliziotti e carabinieri di diverso grado (agenti sul campo, un membro della Digos, un questore) e a due politici. Significativamente, il titolo del volume è ripreso dalla citazione di un’intervista rilasciata all’autore da un agente di polizia sul terreno, che afferma che «la polizia è una conseguenza dell’esecutivo, si guarda il dito ma non si vede la luna, in Italia il problema è questo, il problema non è la polizia ma i governi» (p. 181, corsivo nell’originale). Tuzza, infatti, giunge alla conclusione – abbastanza scontata per chiunque si sia trovato a vivere sulla propria pelle le scelte di polizia inerenti la gestione delle piazze, ma finalmente indagate con metodo scientifico – che «la presunta indipendenza della polizia italiana rimane limitata e la sua professionalizzazione non sembra essere ancora pienamente raggiunta» e che «le istanze del potete politico entrano nelle scelte tecnico-operative della polizia molto più direttamente di quanto si immaginasse all’inizio dello studio» (p. 219). Le strategie di gestione dell’ordine pubblico sono, infatti, in una certa misura, concertate e indicate «direttamente dalle autorità politiche», mentre tra polizia e istituzioni politiche c’è una grande unanimità di vedute e giudizi sui manifestanti. Ad esempio, «c’è un tentativo della dimensione politica e poliziale di delegittimare la protesta No Tav, depoliticizzandola e riducendola a un gruppo di attivisti disorganizzati, incoscienti, persino ignoranti» (pp. 219-220).
Unica pecca, comune a entrambi volumi, è l’uso diffuso di citazioni (invero neanche brevi) in inglese o in francese (ma anche in spagnolo), che rendono la lettura ostica anche per gli addetti e le addette ai lavori laddove non padroneggino perfettamente almeno due lingue straniere. Comprensibile in una tesi di dottorato, lo è meno in volumi che dovrebbero e potrebbero aspirare a una più ampia diffusione.