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I garofani sono ancora rossi?

Oltre al nostro 25 aprile ne abbiamo un altro da ricordare, quello portoghese del 1974 in cui venne deposta la dittatura dell’Estado novo.

Come qui nella penisola, anche la “liberazione” portoghese è oggetto di dibattito pubblico, con forti spinte alla rilettura di quel periodo storico.

Abbiamo chiesto a Giulia Strippoli, nostra socia che da anni vive e lavora in Portogallo di raccontarci questo dibattito.

I garofani sono ancora rossi?
I 50 anni della rivoluzione portoghese nel dibattito pubblico

di Giulia Strippoli

Tutti gli anniversari sono importanti per festeggiare la fine di una dittatura di ben 48 anni, ma alcune occasioni – come gli anniversari decennali – godono di maggiore attenzione, che sia istituzionale, mediatica, accademica o militante. Che il 25 aprile sia festa in Portogallo è fuor di dubbio, ma che la ricorrenza, il cui simbolo sono i garofani rossi, ricordi la fine del fascismo e la rivoluzione (detta, appunto “dei garofani”), è meno consensuale. Nel cinquantesimo anniversario del 25 aprile del 1974, la data del colpo di stato che pose fine alla lunghissima dittatura dell’Estado novo e che sfociò nella rivoluzione, gli attori politici e sociali condividono l’idea della festa (qualcosa da festeggiare c’è per tutti), ma se per alcuni si celebra la fine del fascismo e l’inizio della rivoluzione, per altri si festeggia l’inizio della “transizione democratica”. Per altri ancora – di seguito farò le dovute distinzioni e contestualizzazioni dei protagonisti del dibattito – il 25 aprile va ricordato, ma va ricordato accanto al 25 novembre (del 1975), che da un punto di vista storico concluse il periodo del Prec (Periodo rivoluzionario in corso, che durò dall’aprile del 1974 al novembre del 1975) e che da un punto di visto politico per alcuni mise fine alle speranze rivoluzionarie, e per altri concluse un periodo di caos ed estremismo e permise al Portogallo di diventare un paese democratico.

Ad agitare ancora di più le acque ci sono le interpretazioni sull’Estado novo: fu davvero una dittatura fascista? Cominciamo proprio da qui: la storiografia non si è messa d’accordo sulla definizione della dittatura portoghese come fascista e ancora oggi la dittatura di Salazar e Caetano è chiamata da alcuni storici corporativa e autoritaria e caratterizzata come repressiva e violenta, ma non come fascista. Secondo questa prospettiva l’Estado novo (almeno tra la fine della seconda guerra mondiale e il 1974) non fu fascista perché gli mancarono dei requisiti del fascismo maturato in Italia e del nazismo sviluppatosi in Germania ovvero l’ultranazionalismo, l’espansionismo, il razzismo, il radicalismo. Anche l’iniziale attrito che si ebbe in Italia e Germania con la Chiesta cattolica, o la militarizzazione della società, sarebbero da annoverare tra i denominatori comuni del fascismo italiano e del nazismo, aspetti che invece mancarono alla dittatura portoghese. Quello che sembra poi essere il carattere fondamentale che mancò all’Estado novo per essere definito come fascista fu la mancanza di un leader carismatico: niente folle in estasi, niente culto del capo, niente obbedienza quasi religiosa di moltitudini accecate dall’ossessione del rituale, delle divise e delle dimostrazioni di forza. Questa prospettiva si appella alla serietà storiografica e alla contestualizzazione rigorosa della nascita del fascismo italiano e del nazismo tra le due guerre per affermare che, se pure ci furono degli elementi simil fascisti nel regime portoghese, l’Estado novo non fu fascista[1]. L’argomento del rigore comparativo corre tuttavia il rischio di svilire l’antifascismo militante. Durante l’Estado novo migliaia di persone lottarono contro la dittatura. Furono represse, arrestate, torturate e morirono. Se i protagonisti di allora si dichiaravano antifascisti, affermare che la dittatura non fu fascista getta un’ombra su di essi, nonché sulla memoria della resistenza.
Venendo ai giorni nostri, sempre secondo questa prospettiva, non ci sarebbe nel Portogallo contemporaneo il rischio di fascismo, e il partito Chega sarebbe un partito piú populista che fascista, un partito di protesta piú che di potere e Ventura non sarebbe un leader carismatico. Il partito Chega nelle ultime elezioni portoghesi ha ottenuto il 18,07% e 50 deputati, un numero che fa del partito fondato da André Ventura il terzo partito, dietro alla coalizione di centro-destra Alleanza Democratica (28,85%) e al Partito Socialista (28,00%) che ha governato il Portogallo negli ultimi otto anni. Chega si definisce un partito “nazionale, conservatore, liberale e personalista” e gli anniversari del 25 aprile 1974 sono stati occasione per polemiche e propaganda. Lo scorso anno il deputato Ventura si impegnò in Parlamento e nei social network in una serrata critica alla visita di Lula in Portogallo durante il 25 aprile. L’attacco di Chega è stato all’insegna delle parole chiave anticorruzione che sono uno dei pilastri della missione e delle campagne elettorali del partito di destra: basta con i ladri che intascano milioni mentre a farne le spese è il popolo portoghese che non riesce a mettere insieme il pranzo con la cena. Ventura per l’occasione pronunciò un discorso in Parlamento proprio il 25 aprile 2023 denunciando l’ipocrisia di indossare i garofani e invitare un corrotto della dimensione del presidente del Brasile. All’insegna dello slogan «Democrazia sì, corruzione mai più» – il presidente di Chega vedeva nella presenza di Lula in Portogallo la porta aperta alla normalizzazione della corruzione, mentre invocava una folla di migliaia (poche decine, in realtà) di persone che stavano manifestando alle porte del Parlamento per invocare la giustizia. Ventura, che ha sempre fatto della lotta alla corruzione il fiore all’occhiello della sua propaganda, ha approfittato dell’occasione per denunciare ancora una volta le vicende giudiziarie dell’ex leader socialista José Socrates usando questa volta lo slogan ad effetto «Il posto del ladro è in prigione»[2] e sentendosi in dovere di ringraziare pubblicamente giudici, procuratori e ispettori di polizia che nonostante gli ostacoli non si fermavano nell’esercizio delle loro funzioni e della lotta per un Portogallo liberato dalla corruzione. Se nel 2023 il Parlamento rimase molto poco rumoroso di fronte al discorso di Ventura, le cose, dentro e fuori il Parlamento, potrebbero andare diversamente nelle prossime settimane, giacché se nel 2023 Chega contava con 12 rappresentanti e il 7,8% dei voti, le ultime elezioni hanno abbondantemente triplicato il numero dei deputati. Chega ha inoltre dato l’appoggio alla richiesta del partito di destra Iniciativa liberal di inserire nei festeggiamenti del cinquantenario del 25 aprile anche il ricordo del 25 novembre.

Ecco un’altra questione, dunque. Il 25 novembre 1975 concluse la Rivoluzione dei garofani: un colpo di Stato organizzato dal “gruppo dei Nove”, ufficiali delle forze armate, componenti moderate del Movimento delle forze armate (Mfa) che aveva condotto il colpo di stato il 25 aprile 1974 e governato il Portogallo insieme ai governi provvisori durante il processo rivoluzionario. Fu la sconfitta della sinistra militare – sia quella “gonçalvista”, piú vicina al Partito comunista portoghese (Pcp), dal nome del generale Vasco Gonçalves, sia quella “popolare”, o rivoluzionaria, prossima al carismatico Otelo Saraivo de Carvalho – e la vittoria delle forze moderate. E fu la fine delle istanze rivoluzionarie che avevano ispirato l’occupazione dei latifondi, delle case, le commissioni di lavoratori nelle fabbriche, la nazionalizzazione della banca e delle principali industrie. Le ricostruzioni storiche e le interpretazioni hanno inteso il 25 di novembre come una risposta del gruppo dei Nove a un presunto piano orchestrato dalla sinistra rivoluzionaria o dal Pcp (cioè, il golpe sarebbe arrivato da sinistra e i moderati avrebbero appena risposto con un controgolpe) o, al contrario, come la risposta della sinistra rivoluzionaria all’ultima provocazione delle forze di destra, una risposta che la sinistra non riuscì a sostenere[3]. La storica Maria Manuela Cruzeiro, in decennali studi sul processo rivoluzionario, frutto della combinazione di analisi di fonti scritte e interviste orali ai leader dell’epoca ha riassunto brillantemente quello che successe al Gruppo dei Nove, che descrive come operativamente vittoriosi, ma politicamente fragili, che si trovarono a negoziare la propria vittoria con la destra e l’estrema destra:

In fondo essi credevano nella social-democrazia per la transizione socialista, dimenticando che nel resto d’Europa da molto tempo la socialdemocrazia aveva dimenticato la rivoluzione. Passando un assegno in bianco al Ps (Partito socialista), presero il desiderio per realtà, avendo come orizzonte piú un programma scritto che una pratica politica. Il loro progetto non poteva essere difeso da un partito senza una ideologia politica definita, senza una strategia chiara di medio e lungo termine. Il partito più interclassista dove trovavano posto sia i militanti rivoluzionari sia i democratici, conservatori e finanche elementi dell’estrema destra e che ha usato e abusato della sua maggioranza elettorale come argomento definitivo

https://www.cd25a.uc.pt/pt/page/1557

Se, dunque, il 25 aprile celebra di sicuro la fine della dittatura (sia che sia definita fascista che non fascista), il 25 novembre sancisce di sicuro la fine delle istanze rivoluzionarie, e la destra portoghese non ha perso l’occasione per agitare polemicamente le acque degli anniversari della rivoluzione: se celebriamo il 25 aprile, perché non festeggiare il 25 novembre? Tutti gli anni la destra ci prova, fino ad ora con scarso successo. Dieci anni fa, in occasione del quarantesimo anniversario, le iniziative della destra (Cds, Centro democrático-social e Psd, Partido social democrata) si tradussero in un chiaro insuccesso: il giorno stabilito per la riunione del gruppo di lavoro che avrebbe dovuto organizzare le celebrazioni del 25 novembre il Cds e il Psd rimasero isolati e non ci fu nessuna commemorazione. Quest’anno, in occasione del cinquantenario, Mariana Leitão, leader del partito di destra Iniciativa liberal -quarto partito alle ultime elezioni, con il 4,94% e 8 deputati – appoggiata da Cds e Chega ha da pochi giorni proposto che i festeggiamenti includano le celebrazioni del 25 novembre. Vedremo nelle prossime settimane lo sviluppo del dibattito. C’è da dire che quest’anno per la prima volta il 25 di novembre è già stato festeggiato con una celebrazione ufficiale nel comune di Lisbona, guidato dal sindaco di destra Carlos Moedas (Psd). La piazza antistante il comune ha ospitato 25N, una mostra temporanea e itinerante con pannelli concepiti per raccontare «La storia che non ti hanno raccontato». Il sottotitolo vagamente complottista «Ti svelo un segreto» tenuto nascosto da non si sa da chi, aveva probabilmente lo scopo di affascinare i visitatori e convincerli dell’importanza del 25N. Forse è superfluo aggiungere che la descrizione generale non collegava il 25 aprile 1974 con la fine del fascismo, né con la presa di parola dopo anni di censura e di polizia politica, né tantomeno con la mobilitazione di massa per l’occupazione delle terre, delle fabbriche e delle case. Ad essere celebrata era la democrazia pluralista: «la rivoluzione del 25 aprile 1974 aprì le porte all’instaurazione di una democrazia pluralista in Portogallo. Seguì un periodo di transizione di forte turbolenza politica e sociale, che raggiunse il culmine il 25 novembre 1975. La mostra 25N, prodotta dall’Istituto +Liberade racconta cosa è successo in questo periodo marcante della nostra storia»[4] (Fig.1). Il citato istituto, fondato pochi anni fa da Carlos Guimarães Pinto, presidente del partito Il, da Adolfo Mesquita Nunes, dirigente del Cds e da Carlos Moreira da Silva, presidente della multinazionale Sonae, ha per missione la promozione dei cosiddetti pilastri della democrazia liberale, ovvero la democrazia, l’economia di mercato e la libertà individuale. Che un istituto privato ispirato ai valori della destra, che non fa mistero dell’insofferenza nei confronti degli “ostacoli” che lo Stato opporrebbe allo sviluppo della libertà individuale, organizzi una mostra in cui sono stati rimossi i successi del 25 aprile in termini di conquiste collettive poi garantite dallo Stato, tra cui il diritto di sciopero, i diritti delle donne, il diritto alla salute, non genera grande perplessità. Più preoccupazione desta invece il fatto che per la prima volta, lo scorso 25 novembre, il comune di Lisbona, passato dal governo del Ps a quello del Cds nel 2021, abbia celebrato la ricorrenza con una cerimonia ufficiale.

Fig. 1 Allestimento della mostra 25N (https://maisliberdade.pt/exposicoes/25n/)

In una sala gremita di ufficiali dell’esercito e di personaggi politici di un ampio spettro politico, dal Ps a Chega (ma con una maggioranza di leaders dei partiti di destra), scanditi dal ritmo della chitarra portoghese che intonava il fado, il generale Rocha Vieria ha affermato:

Celebrare il 25 aprile implica celebrare il 25 novembre. Celebrare il 25 novembre è invocare e riprendere i migliori ideali del 25 aprile. Per il suo carattere profondamente democratico il 25 novembre è patrimonio e proprietà del popolo portoghese

Disponibile on line, sul canale del comune di Lisbona, con il titolo Lisbona ricorda il 25 novembre https://www.youtube.com/watch?v=a25-sk1v3Yg&t=83s.

Dal canto suo, il sindaco Moedas ha profuso le seguenti parole:

È volontà dei lisbonesi fare questo omaggio, perciò – signore e signori – non ci dimentichiamo del 25 novembre, non ci dimentichiamo degli eroi dei comandi militari che diedero la vita per la democrazia, non ci dimentichiamo che le promesse del 25 aprile senza il 25 novembre non si sarebbero compiute. Perché a Lisbona abbiamo memoria, a Lisbona celebriamo novembre perché siamo democratici, celebriamo novembre perché amiamo la democrazia. Viva il 25 novembre, viva il 25 aprile, viva la democrazia, viva la libertà, viva Lisbona, viva il Portogallo

Idem.

Che sia l’anziano generale sia il sindaco abbiano concluso i loro discorsi – largamente applauditi – con un riferimento al Portogallo e al popolo portoghese è indicativo della concezione della democrazia, una prospettiva che implica la celebrazione del paese iberico e la rimozione dei 13 anni di guerra e massacri nelle colonie di Angola, Guinéa Bissau e Mozambico, nonché la liquidazione della sinistra. Se il 25 novembre celebra la parte migliore del 25 aprile – e di sicuro nessuna sinistra, né quella comunista, né quella radicale, rivoluzionaria o popolare celebra il 25 novembre – significa escludere la sinistra dalla fine della dittatura e dimenticare che la rivoluzione dei garofani fu – certo non per tutti – la fine del fascismo, la mobilitazione di massa in nome del “potere popolare”, la trasformazione della società in senso socialista, un progetto peraltro sancito dalla costituzione del 1976, che nel preambolo chiamava l’Estado novo «regime fascista», nonché oppressore e colonialista e poi dichiarava all’articolo 1: «Il Portogallo è una Repubblica sovrana, basata sulla dignità della persona umana, e nella volontà popolare e impegnata nella sua trasformazione in una società senza classi», mentre l’articolo 2 recava il titolo «Stato democratico e transizione verso il socialismo». Forse chi non racconta bene la storia non sono coloro che non celebrano il 25 novembre.

Non ci sarà da stupirsi se, tra pochi giorni, in occasione delle celebrazioni ufficiali per il 50º anniversario del 25 aprile, le destre portoghesi cercheranno di legittimarsi come protagoniste dell’evento in nome della loro idea di democrazia e se l’ultradestra di Ventura coglierà l’occasione per affondi polemici nei confronti dei festeggiamenti della sinistra.

La commissione commemorativa delle celebrazioni dell’anniversario ha iniziato i lavori nel marzo 2022 e li concluderà nel 2026, a cinquant’anni dall’approvazione della costituzione. La descrizione della missione della commissione recita che il 25 aprile è un momento fondativo della democrazia portoghese: «la data simboleggia l’inizio di un percorso di profonde trasformazioni economiche, sociali e culturali, che ebbero come motore la democratizzazione e l’europeizzazione del Paese»[5]. Ecco un’altra esclusione della sinistra. Perché il 25 aprile deve simboleggiare qualcosa e non segnare l’inizio della rivoluzione che per la prima volta nella storia del Portogallo contemporaneo vide le masse scendere in piazza e reclamare la fine del colonialismo e del fascismo e dignità per i lavoratori, per le lavoratrici, per le donne? Il richiamo in apertura alla europeizzazione esclude ancora una volta le sinistre. Né il Pcp, l’unico partito che resistette come organismo politico ai lunghi anni di clandestinità, né la sinistra non comunista pensavano alla rivoluzione in prospettiva dell’entrata del Portogallo in Europa (resa possibile con il cambiamento della costituzione, che perse le sue caratteristiche rivoluzionarie e con l’adozione di una politica di austerità, vigilata dal Fondo monetario internazionale). La descrizione della missione della commissione commemorativa sembra manifestare qualche difficoltà nell’uso della parola rivoluzione e solo nella seconda metà della pagina, a mo’ di introduzione alla descrizione della struttura della commissione viene introdotta la parola rivoluzione, più come una definizione storiografica e amministrativo-politica standard che come un riferimento al carattere rivoluzionario dei mesi che seguirono il 25 aprile del 1974: «La Struttura di Missione per le commemorazioni del cinquantesimo anniversario della rivoluzione del del25 aprile del 1974 ha per missione la promozione e l’organizzazione di celebrazioni relative a questo momento della storia recente del paese»[6].

Altre istituzioni, come il Museu di Aljube di Lisbona, costituito in una ex prigione della polizia politica Pide, offriranno invece nei prossimi mesi mostre e percorsi museali che valorizzano la storia della resistenza antifascista e della conquista e difesa dei diritti legati alla rivoluzione, e all’idea di democrazia nel presente e nel futuro[7].

“Sconfiggere il capitalismo. Realizzare aprile a cura del collettivo marxista” (foto dell’autrice)

In questo scenario, un recente sondaggio sulle percezioni del 25 aprile ha dato come risultato che la maggioranza delle persone intervistate in Portogallo (il 69%) considera che la rivoluzione ha portato più conseguenze positive che negative. Il sondaggio, realizzato nell’ambito del progetto di ricerca 50 anni di democrazia in Portogallo: continuità e cambiamenti generazionali, dell’Istituto superiore di scienze sociali e politiche ha anche messo in luce che le opinioni favorevoli sono più presenti tra i giovani (16-24 anni) e i giovani adulti (25-34 anni): il 73% considerano il 25 aprile un evento globalmente positivo, il 21% lo percepiscono tanto positivo quanto negativo, mentre il 6% propende per una considerazione negativa[8]. Un segnale certamente positivo, anche se il sondaggio non chiarisce che cosa si intenda per rivoluzione del 25 aprile. Se poi giovani e meno giovani sono concordi nel rispondere che il 25 aprile ha globalmente migliorato il Paese soprattutto nell’ambito della salute, dell’educazione, della casa, una fetta ampia (il 65% di tutta la popolazione) ritengono che oggi la corruzione sia peggiore rispetto a prima del 25 aprile 1974. Un punto per Ventura e per la sua propaganda anticorruzione.

A mo’ di riassunto, si può dire che a pochi giorni dalle celebrazioni del cinquantesimo anniversario del 25 aprile il dibattito pubblico sia sempre più condizionato dai tentativi di marginalizzare la sinistra comunista e non comunista e di fare dell’anniversario della fine della dittatura la data simbolo dell’entrata del Portogallo nel contesto delle democrazie liberali. Fanno parte di questo clima lo svilimento dell’antifascismo militante, l’offuscamento dei contenuti rivoluzionari nei mesi tra l’aprile del 1974 e il novembre 1975, la celebrazione del 25 novembre come l’ancora di salvataggio dal disordine e l’occasione per la nascita della “libertà”. Oltre che una opzione politica discutibile, la marginalizzazione della sinistra è un errore storico: al di là delle affinità o antipatie nei confronti del Pcp, non si può negare il ruolo di protagonista del partito nella organizzazione della resistenza clandestina contro il fascismo portoghese. Così come non si può negare che furono lavoratori/lavoratrici e studenti/studentesse di sinistra che più soffrirono la repressione, la clandestinità, la prigionia e le torture del regime fascista. A livello parlamentare, la strategia di sinistra ha sofferto un calo di consensi negli ultimi anni e nelle recenti elezioni il partito Bloco de esquerda ha ottenuto il 4,36% dei voti, mentre il Pcp il 3,17%.  Un fatto che si riverbera nel dibattito pubblico, che, a parte qualche eccezione, è pesantemente occupato dalla celebrazione della nascita della democrazia e dall’offuscamento della resistenza antifascista e delle idee rivoluzionarie maturate nel post 25 aprile 1974 (Fig. 2).

Fig. 2 Cartelloni per il 25 aprile 2024 (foto dell’autrice)

Di contro a questo scenario, alcuni movimenti non hanno smesso di connettere l’aprile portoghese con la lotta contro il colonialismo e l’oppressione a livello globale. La Piattaforma unitaria di solidarietà con la Palestina (Psup) ha indetto per domenica 7 aprile la manifestazione “Aprile per la Palestina”: i manifesti uniscono graficamente i simboli rossi della mezza anguria e dei garofani. Vida justa, movimento nato nel contesto di crisi sociale post pandemia e post guerra, per rivendicare una vita decente per chi lavora, di fronte all’aumento dei prezzi e alla speculazione, ha appellato alla partecipazione alla manifestazione del 25 aprile con lo slogan “potere popolare” e invocando la forza “dos bairros”, letteralmente “dei quartieri”, per riferirsi a coloro che hanno urgente bisogno delle misure invocate nel manifesto di Vida justa: salari e trasporti migliori, abitazione decente, prezzi controllati dei beni essenziali, miglioramento del sistema nazionale di salute, fine della violenza della polizia.

Questo ponte tra la memoria del 1974, la lotta del popolo palestinese e la lotta quotidiana per una “vita giusta” sembra ricordare che il 25 aprile si celebra soprattutto la liberazione di un popolo dall’oppressione.

Poder popular (Foto dell’autrice)

[1] Il dibattito storiografico è ormai uscito dall’ambito accademico. Si veda, tra i contributi piú recenti l’intervista alla storica Rita Almeida de Carvalho dal titolo Non c’é, né ci fu mai fascismo in Portogallo. https://24.sapo.pt/atualidade/artigos/nao-ha-nem-nunca-houve-fascismo-em-portugal-a-historiadora-rita-almeida-de-carvalho-explica-porque.

[2] Disponibile sul canale «ChegaTV» con il titolo Democrazia sí, corruzione mai più https://www.youtube.com/watch?v=Ag3_k49dVME&t=534s.

[3] Sul 25 di novembre come liquidazione della sinistra l’analisi più completa, con le ipotesi sulla preparazione dei piani militari da parte della sinistra rivoluzionaria o della sinistra comunista si veda il testo della comunicazione della storia Maria Manuela Cruzeiro, disponibile on line: https://www.cd25a.uc.pt/pt/page/1557.

[4] Disponibile on line, sotto il titolo Che cosa è il 25N?: https://www.25n.pt/

[5] As Comemorações dos 50 anos do 25 de Abril: https://50anos25abril.pt/estrutura-missao/

[6] https://50anos25abril.pt/estrutura-missao/    

[7] https://www.museudoaljube.pt/

[8] I risultati del sondaggio sono stati pubblicati nel quotidiano «Público» il 25 marzo 2024 con il titolo Entre os jovens que o legado de Abril é mais valorizado, pp. 2-4.

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