Rasmus C. Elling, Sune Haugbolle (eds), The fate of Thirdworldism in the Middle East: Iran, Palestine and Beyond, Oneworld Academic, 2024, pp. 442
Con il nuovo numero di «Zapruder» Nostra patria è il mondo intero (guarda indice qui) vogliamo proporre una riflessione sui movimenti anticoloniali e antimperialisti in Italia a partire dall’articolazione tra centri e periferie, sia geografici che politici. Dalle città di provincia alla solidarietà dal basso, dalle canzoni cantate nei cortei alle riviste autoprodotte, emergono nuovi attori e nuovi contesti che sono stati la linfa vitale dell’attivismo e del dibattito antimperialista, micro esperienze in grado di creare nuove connessioni globali, oltre le istituzioni, i partiti e i canali formali.
Per introdurre alcuni dei temi trattati nel numero vi proponiamo la recensione del libro The Fate of Thirldwordism in the Middle East, che interroga il concetto di fine dell’esperienza terzomondista in Medio Oriente, attraverso le storie delle donne e degli uomini che hanno vissuto, lottato, viaggiato e studiato per provare a costruire un mondo migliore.Letto per voi da Sofia Bacchini (una delle curatrici del numero).
Verso una storia sociale del terzomondismo e dell’antimperialismo
Sofia Bacchini
Sune Haugbolle e Rasmus Elling sono tra gli animatori di un prolifico hub di ricerca danese e scandinavo che, nel solco della tradizione della storia connessa (connected) o incrociata (croisée), sta contribuendo a un nuovo corso della storiografia del sud globale. The fate of thirdworldism in the Middle East: Iran, Palestine and beyond è un volume collettaneo di microstorie che, come tessere di un mosaico, si ricompongono nel disegno di un processo dinamico, permettendo di visualizzare i cambiamenti storici nel momento del loro farsi. La domanda di ricerca che attraversa i contributi ribalta i più tradizionali approcci al terzomondismo, che si interrogano sulla nascita e gli sviluppi di questo fenomeno, proponendo di indagarne invece la fine, o, ancora, le sorti (fate) ‒ termine che, rispetto a end, presuppone un processo di trasformazione piuttosto che di sparizione totale.
Le storiografie su Iran e Palestina – due pilastri del terzomondismo in Medio Oriente e non solo – si incontrano in alcuni anni considerati dei punti di svolta per l’intera regione: il 1979 (rivoluzione islamica in Iran) e il 1982 (cacciata del quartier generale dell’Olp da Beirut). Attorno a questi eventi è stata costruita una periodizzazione rigida, che li individua come marcatori monolitici: da un lato, segnerebbero la fine del secolarismo arabo e della definitiva ascesa dell’islam politico; dall’altro invece la fine della stagione rivoluzionaria della resistenza palestinese. Considerati assieme, raffigurerebbero dunque la pietra tombale della stagione terzomondista in Medio Oriente. Elling e Haugbolle vogliono confutare una lettura ingabbiante e deterministica di questo tipo, proponendo un approccio che connette vari tipi di traiettorie, e i loro grovigli transnazionali, con la macrostoria del terzomondismo come fenomeno globale. Suggeriscono che le periodizzazioni – al plurale – si costruiscono a partire dalle esperienze concrete di soggetti generalmente considerati marginali dalla storiografia: rivoluzionari vagabondi, attivisti studenteschi, guerriglieri, medici e infermieri volontari, intellettuali militanti. Emerge poi centrale il tema della spazialità e della materialità della ricerca, soprattutto in relazione alla produzione dei luoghi in cui queste connessioni avvenivano: manifesti, networks, delegazioni, conferenze, festival, riviste. La storia sociale diventa dunque in questo senso un’importante alleata, perché permette di cogliere le increspature della superficie e quindi osservare gli eventi nel loro svolgersi, non attraverso griglie precostituite o semplici date. Riducendo la globalità alla scala analitica delle traiettorie collettive e individuali, si può osservare il modo in cui il cambiamento storico è stato sperimentato, analizzato e vissuto.
Alcuni fili rossi attraversano il volume, delineando delle riflessioni cruciali relative alle sorti del terzomondismo. Anzitutto, demistificare le presunte pareti lisce della solidarietà terzomondista, mettendo in luce le difficoltà e le contraddizioni che sono nate nello sforzo di tenere insieme soggetti ed esperienze politiche anche molto distanti tra loro, che hanno prodotto frizioni che, progressivamente, hanno contribuito all’usurarsi del collante terzomondista. La solidarietà è una pratica e una progettualità politica, agita dagli uomini e dalle donne e dunque necessariamente contraddittoria, e in quanto tale è un organismo vivente, cangiante, complesso, che si trasforma nel tempo e nello spazio.
Un altro approccio utilizzato è quello di genere, che aiuta a mettere a fuoco la produzione di soggetti marginalizzati all’interno delle lotte, in questo caso le donne. Nella concezione comune del lavoro politico femminile come “dietro il fronte”, o del lavoro “di cura”. L’assistenza medica, ad esempio, è molto spesso stata associata alle donne, e quando, in particolare dalla metà degli anni settanta in poi, la cooperazione sanitaria divenne un’articolazione della solidarietà internazionalista, la figura del “militante-dottore/infermiere” (uomo) cominciò a mettere in crisi un più tradizionale immaginario “virile”. Un discorso simile vale anche per l’ipermascolinizzazione della figura del guerrigliero, del martire e del rivoluzionario, un immaginario di mascolinità che soprattutto con la guerra civile libanese subì i contraccolpi di uno scivolamento simbolico dal corpo del combattente al corpo della vittima.
L’accento posto dai curatori sulla centralità della prassi rivoluzionaria per leggere il mutamento storico permette di cogliere, in questo caso, il passaggio nodale dalla “solidarietà armata” degli anni sessanta e settanta agli “aiuti umanitari” degli anni ottanta e novanta. Un processo accompagnato e corroborato da una retorica pubblica sempre più marcata dal «paradigma della vittima». Guardando a come i gruppi e gli ambienti rivoluzionari hanno vissuto e negoziato il momento spartiacque prima che il nuovo ordine degli anni ottanta si stabilizzasse, si propone infine di scrostare le date dalle rigide periodizzazioni che, se abbattute, permetterebbero un ragionamento di più ampio respiro sui mutamenti, inserendoli in una prospettiva di lunga durata.
Mettendo a sistema i vari spunti offerti dal volume emerge un quadro allo stesso tempo denso e sfumato della riconfigurazione del terzomondismo a cavallo tra gli anni settanta e ottanta, che restituisce dilemmi e sfide di lunga gestazione. Gli autori ci propongono insomma una metodologia innovativa che individua il terzo mondo non come un “fronte ideologico” ma come una processualità plasmata dalla miriade di pratiche di varie e interconnesse progettualità politiche.
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