La vicenda della professoressa Rosa Maria Dell’Aria – sospesa dall’insegnamento per due settimane per non aver censurato un lavoro in cui i suoi studenti proponevano dei parallelismi tra leggi razziali del 1938 e decreto sicurezza del 2018 – probabilmente si concluderà con la sua riabilitazione. Ciononostante ci sembra importante non far cadere nel vuoto la possibilità di un dibattito che vada a inserire questo evento in un più ampio quadro di tendenze delegittimanti verso la storia che si insegna nelle scuole, come già era accaduto in occasione dell’esame di stato del 2018. Vi proponiamo quindi questa riflessione di Giuliano Leoni.
di Giuliano Leoni
Io penso che scandalizzare sia un diritto, essere scandalizzati un piacere (P. P. Pasolini)
I fatti di Palermo rappresentano una violazione dello Stato di diritto, in una fase storica nella quale, non solo in Italia, si assiste ad un regresso tanto sul piano dei diritti quanto su quello del dibattito pubblico. L’aspetto più preoccupante non è costituito dallo zelo dei burocrati di un ufficio scolastico che sospendono per due settimane una docente a causa di un video proiettato dai suoi studenti, cavillando sulla culpa in vigilando. È sospetta questa difesa delle istituzioni e delle leggi in un Paese nel quale le stesse vengono puntualmente irrise da chi dovrebbe rappresentarle, in particolare attraverso un uso del lessico e del potere degno di un romanzo distopico, nel quale migranti, docenti politicamente impegnati, donne, attivisti, “disoccupati da divano” costituiscono altrettanti potenziali ostacoli alla normalizzazione dei rapporti sociali e all’andamento spedito dell’economia e della produzione. Secondo questo indirizzo, la scuola non può più permettersi di essere uno spazio di confronto libero, dove le persone maturino una visione alternativa della realtà in cui vivono, ma deve diventare una fabbrica di uomini e donne dabbene, che non rechino all’apparato repressivo il fastidio di dover mostrare e dimostrare tutta la sua forza.
Nel caso di Palermo, è evidente che l’intimidazione prescinde dal contenuto del provvedimento punitivo, oltre che dalla legge; a contare è soprattutto il contesto nel quale è avvenuta. Il pensiero deve essere unico, anzi non deve essere: la dialettica, in assenza di ostacoli, non può dispiegarsi, pertanto diventa impossibile pensare davvero, per lo studente, per il docente e per il cittadino. I docenti che si ostineranno a farlo verranno etichettati come contrastivi, concetto adombrato nella legge 107 e solo temporaneamente cassato in sede di trattativa per il rinnovo del contratto, ma pronto a comparire di nuovo quando sarà necessario. Rosa Maria Dell’Aria avrebbe quindi messo in atto un comportamento contrastivo, non operando la censura sul contenuto del lavoro degli studenti, i quali non hanno fatto altro che esercitare legittimamente il diritto a provocare. Diritto che, evidentemente, nella Weltanschaung di chi al momento detiene il potere, va riconosciuto entro limiti assai ristretti. Che la provocazione possa essere storicamente azzardata non è rilevante; quello che rileva è che i valori costituzionali sono pronti a fare posto ad altri principi, più funzionali all’esercizio del potere: l’inclusione fa posto alla discriminazione identitaria, non a caso a segnalare l’accaduto e ad ergersi a paladino della purezza delle menti degli studenti plagiati – anzi “obbligati”, come si legge nel tweet – è stato un militante di estrema destra.
La scuola è, ancora una volta, il laboratorio in cui saggiare la capacità della società di resistere o cedere e quella degli apparati repressivi di sorvegliare e punire. I distinguo operati in questi giorni da gran parte degli organi di informazione costituiscono un’ulteriore prova del processo in atto. Si tratta, come detto, di un’evidente intimidazione, ma, al tempo stesso, di un ballon d’essai. Per ora, il sistema sembra aver reagito positivamente, o meglio negativamente dal punto di vista di chi ha lanciato il palloncino, ma si attende la prossima forzatura, nella consapevolezza che un eventuale procedimento giudiziario non potrà causare lo stesso clamore. Se è vero che l’intervento degli agenti della Digos in una scuola è sempre un evento inquietante, che sia accaduto per una presunta violazione avvenuta nel corso di un’attività didattica, segna uno scarto rispetto ad altri episodi del recente passato. La libertà di insegnamento è libertà di insegnare e di apprendere, e come tale non riguarda solo i docenti e gli studenti, ma tutti i cittadini. Il sistema dell’istruzione è stato negli ultimi tre decenni oggetto di attenzioni quasi ossessive da parte del decisore politico, tanto che vi sono stati insegnanti che si sono sentiti sollevati nel constatare che il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, nel suo discorso di insediamento, non avesse accennato, nemmeno di sfuggita, al tema della politica scolastica. La speranza era – forse – quella di una tregua, dopo anni di massicci investimenti propagandistici. Speranza vana: l’argomento interessa eccome, e lo dimostrano le uscite pubbliche e i disegni di legge sulle telecamere e sulla rilevazione dei dati biometrici. Nel primo caso si comincerà con le scuole dell’infanzia, nel secondo con i dirigenti scolastici, ma sarà solo l’inizio; nei piani di chi ha concepito il progetto, seguirà l’estensione di questi strumenti vessatori a tutti i livelli.
C’è qui un altro elemento da considerare: gli studenti, anche se nel caso specifico non sono stati oggetto di provvedimenti disciplinari, sono sotto osservazione al pari e anche più degli insegnanti. Con il pretesto di tutelarli, secondo un approccio paternalistico collaudato, viene loro suggerito o imposto di non occuparsi di politica, che è materia per persone adulte e libere dal giogo dei docenti ideologicamente schierati. Viene loro suggerito di sottrarsi ad un pericoloso plagio, di non farsi usare, in modo da essere manipolati ed usati dagli stessi soggetti che si candidano a loro tutori. E’questa la vera delegittimazione del corpo insegnante, che va al di là di singoli episodi di cronaca, erroneamente spacciati per lo specchio del Paese. Anche lo studio della disciplina Cittadinanza e Costituzione, confezionata come una sorta di fossile, diventa un modo per neutralizzare e anestetizzare il pensiero, non per riflettere su principi che chiamano in causa un’idea di società e la partecipazione attiva di tutti alla sua costruzione.
Docenti e studenti devono dunque limitarsi a ricapitolare e, nella migliore delle ipotesi, intendere i contenuti proposti. Il video realizzato dagli alunni palermitani muove nella direzione opposta e non a caso si conclude con la risposta ad una domanda solo in apparenza ovvia: ma allora cosa significa celebrare un Giorno della Memoria? Significa impegnarsi per protestare contro quello che accade oggi. Ma sia la critica che l’oggi devono essere esclusi dall’orizzonte pacificato della nuova storia, la quale diviene un contenitore svuotato di significato. In questo recipiente si possono inserire contenuti – e protagonisti – a piacimento, purché appartengano ad un passato indistinto e primitivo. Inutile qui farne l’elenco, basti dire che ci vuole poco perché tutto questo diventi senso comune nelle scuole, nelle università e naturalmente anche fuori da esse. Rosa Maria Dell’Aria verrà presumibilmente riabilitata e forse anche risarcita per il danno economico subito, ma l’avvertimento è stato lanciato da chi di dovere: la storia è roba nostra.