Come annunciato in Zapruder news! con il numero 48 di «Zapruder» vi troverete tra le mani una rivista diversa: cambio di impianto grafico, cambio di casa editrice e cambio di formato. Il settaggio di tutti questi cambiamenti ci ha fatto ritardare l’uscita del numero e la sua distribuzione. A breve Tifo. Conflitti identità trasformazioni dovrebbe uscire dalla tipografia e arrivare tra le vostre mani. Lo anticipiamo pubblicando sul web un contributo a tema – sulla ricostruzione dei dispositivi di repressione contro il movimento ultras – firmato da @zeropregi, uno degli autori del numero 48 di «Zapruder» che per “Altre narrazioni” ci ha regalato un pezzo d’autore. Nell’articolo non poteva non trovare posto anche I Furiosi, per molti e molte uno dei migliori libri dedicati al mondo della tifoseria. Idealmente vuole essere un omaggio al suo autore, Nanni Balestrini, recentemente scomparso e a cui il numero 48 è dedicato.
Genealogia minima del movimento ultras e della sua repressione.
di @zeropregi
Il 20 maggio del 2019 ci ha lasciati Nanni Balestrini e, tra le mille cose che ha raccontato nel corso dei decenni, ce n’è una in particolare: I Furiosi, pubblicato per la prima volta nel 1994. Il primo romanzo sul mondo ultras scritto in Italia che narra di fatti realmente accaduti tra la tifoseria ultras milanista (le Brigate rosso nere) e quella cagliaritana (i Furiosi) nei primi anni ’90. I gruppi ultras, le loro gesta, i loro codici diventano protagonisti di un romanzo corale, scritto con uno stile originale, senza filtri, che mostra la violenza e l’allegra follia di un fenomeno che all’epoca, ogni domenica (eravamo lontani dal calcio “spezzatino”) muoveva migliaia di giovani in trasferta, con ogni mezzo necessario (spesso il treno senza biglietto), pronti a scontrarsi con la tifoseria rivale per una “maschia” supremazia. L’importanza di quel romanzo, tuttora ineguagliato, non è solo il fatto che fu la prima rappresentazione autentica di quel mondo bensì quello di essere stato anche testimone della transizione e della trasformazione che raccontano queste righe, oltre che del nuovo modello repressivo che si è andato affermando.
Il passaggio tra gli anni ’80 e ’90 probabilmente sancisce la trasformazione tra la prima generazione ultras e quella più moderna. Quando alla fine del 1989, con la legge 401, viene approvato il primo provvedimento in materia di ordine pubblico e stadio, che introduce il Daspo (divieto di accedere alle manifestazioni sportive), si segna un punto di non ritorno. Ma non si trattava di un fulmine a ciel sereno. Pochi anni prima, nel 1987, dodici tifosi del Verona appartenenti alle Brigate gialloblu erano stati arrestati in seguito ai violenti scontri di Brescia-Verona e condannati per “associazione a delinquere”. Per la prima volta un reato associativo veniva usato per condannare dei tifosi di calcio per disordini e violenze. Per la prima volta i tifosi di calcio venivano “associati” alle bande criminali o mafiose.
Nel novembre 1991, dopo alcuni gravi incidenti successivi a una una partita di coppa Italia contro il Milan di Sacchi, falcidiate da altri diciassette arresti le Brigate gialloblu decidono di sciogliersi, non volendo essere più considerate responsabili delle azioni di ogni singolo tifoso.
Un fatto, solo apparentemente “normale”, che segna in realtà gli albori della trasformazione successiva del mondo ultras: è l’inizio anche in Italia del “casualismo”, che porterà nel decennio successivo al progressivo scioglimento di tutti i più importanti gruppi ultras nati negli anni ‘70, aggreganti e popolari (nel 1988 le Brigate rosso nere [Brn] e la Fossa dei leoni [Fdl], entrambe sponda Milan, toccavano le oltre 15.000 tessere). È l’inizio di una trasformazione profonda, generazionale che vedrà la discesa in campo del “terzo ultras”, come veniva chiamato, cioè la polizia. Gli scontri tra opposte tifoserie vengono via via sostituiti da quelli tra polizia e tifoserie, dove spesso l’obiettivo era proprio la polizia stessa.
Nei cinque anni successivi all’introduzione del Daspo, i diffidati furono oltre 5.000 mentre il numero degli incidenti dentro gli stadi cresceva progressivamente, così come la violenza messa in campo. Tra il 1988 e il 1999 sono dieci i tifosi che perdono la vita, mentre Ivan Dall’Oglio, quattordicenne tifoso del Bologna, rimane sfigurato dopo il lancio di una molotov da parte di alcuni tifosi della Fiorentina contro il treno che trasportava i bolognesi verso Firenze. A partire dal 1989, a ogni morto fuori o dentro gli stadi lo stato risponde attraverso la pubblicazione di decreti legge che inaspriscono le pene e ne introducono di nuove. Dopo la morte del tifoso genoano Vincenzo Spagnolo “Spagna”, nel febbraio 1995 viene convertito in legge il decreto del 22 dicembre 1994 che alza la durata massima del Daspo fino a un massimo di 2 anni e introduce l’obbligo di firma durante le partite per coloro che ne sono destinatari. Nel 1998 il governo di centrosinistra ne promuove un altro che introduce “i reati specifici da stadio”, che arrivano fino all’obbligo di dimora. Successivamente vengono introdotti l’Osservatorio per le manifestazioni sportive, la tessera del tifoso, i pre-filtraggi intorno allo stadio, l’arresto in flagranza differita, fino all’innalzamento della durata massima del Daspo a 5 o 8 anni se si è recidivi. Progressivamente, più si rendeva inaccessibile lo stadio più la violenza all’esterno aumentava. «La violenza degli ultrà si è nel frattempo trasformata. Lo scontro fisico tra gruppi è pressoché irrealizzabile: i tifosi in trasferta vengono presi in consegna da scorte di agenti, sia nelle stazioni che ai caselli autostradali e subito accompagnati dentro gli stadi, in settori isolati ermeticamente dal pubblico di casa. […] L’aumento degli atti di vandalismo contro veicoli ed edifici è vertiginoso e le vecchie scazzottate vengono sostituite da sassaiole e insulti a distanza», scrive Valerio Marchi in Ultrà. Le sottoculture giovanili negli stadi d’Europa (2015).
Alla fine del 2018, all’indomani della morte del tifoso dell’Inter Daniele Belardinelli, investito durante gli scontri tra ultras interisti e napoletani, l’opinionista del «Corriere della Sera» Massimo Gramellini scriveva «perché abbiamo lasciato il calcio in mano agli ultrà? Quand’ero bambino non esistevano. Esisteva il tifo organizzato, ma era una faccenda di amici che mettevano insieme l’automobile per seguire la squadra in trasferta dividendosi le spese della benzina. A un certo punto sono arrivati. Relitti nazisti e stalinisti». Anche escludendo che chissà dove Gramellini possa davvero aver visto degli ultras stalinisti, pure sul resto il giornalista del Corsera mente spudoratamente: gli Ultras Granata nascono nel 1969, mentre i primi gruppi ultras di sponda torinista nascono negli anni ’50 (I fedelissimi). Massimo Gramellini è nato nel 1960, quindi o non ha mai frequentato lo stadio del Torino oppure… fate voi.
Fatto sta che la narrazione “era meglio prima” è falsa. Le violenze allo stadio erano all’ordine del giorno anche negli anni ’70 e ’80. Il primo morto da stadio è del 1963. Negli anni ’90, i ricambi generazionali e il riflusso degli anni ’80 hanno però posto sotto le luci della ribalta i gruppi neofascisti che in diverse curve d’Italia hanno provato a fare proselitismo. Se nei numeri il risultato è stato un flop, sicuramente l’immaginario teppistico da stadio ha sostituito le bandiere inglesi dei primi anni ‘80 con le croci celtiche e tutto l’armamentario dell’immaginario neofascista. Una nuova generazione che da subito ha reciso il passato ultrà/ultras proveniente dagli anni ‘80 per crearne uno tutto nuovo. L’aggregazione da stadio, attraverso i gruppi ultras di massa, è stata sostituita via via dalla formazione di piccoli gruppi basati su affinità e idee, spesso anche politiche. Ma, soprattutto, queste nuove forme di organizzazione sono diventate inevitabili per sfuggire alla sempre più massiccia opera di controllo da parte delle forze dell’ordine.
All’interno di questa trasformazione gioca, come abbiamo visto, un ruolo di primo piano l’affermazione nelle curve – come nel paese tutto (sono gli anni dei sempre più frequenti raid razzisti che porteranno alla legge Mancino del 1993) – di un immaginario basato su slogan e parole d’ordine sempre più apertamente razzisti. «Abbiamo cominciato a fare i cori abbiamo cominciato a prenderli per il culo tipo Vi ruberemo il gregge ma poi quando comincia la partita loro tirano fuori uno striscione gigantesco fatto con gli spray “Milanista ebreo ti odio” e di colpo c’è un clima di tensione poi all’inizio sono andati in vantaggio loro ma alla fine il Milan vinceva e abbiamo cominciato a gridare Serie B serie B», scrive Balestrini in I Furiosi. Siamo all’inizio degli anni ‘90. L’episodio raccontato non ha fatto della tifoseria ultras cagliaritana una tifoseria fascista o antisemita nell’immaginario ultras o nelle cronache sportive, ma è un segnale di come un certo linguaggio politico si stava affermando in maniera sempre più prepotente. Tale episodio non rappresentava un fulmine a ciel sereno in quanto già nel 1989 a Udine la neopromossa Udinese aveva acquistato il calciatore israeliano Ronny Rosenthal. Al momento delle visite mediche nelle vie della città friulana erano apparse scritte eloquenti del tipo “Ebrei via dal Friuli” firmate con la svastica. Le svastiche nelle curve appaiono in questo periodo anche tra le tifoserie ritenute fino ad allora, a torto o ragione, “di sinistra” mentre quelle di destra non manifestano più alcuna remora o alcun limite. Il 28 aprile 1996 nella curva veronese viene esposto un manichino nero con la maglia del Verona e con un cappio al collo, accompagnato dalla scritta “negro go away”. A sorreggerlo due uomini incappucciati come membri del Ku klux klan. Come contorno striscioni in veneto che suggeriscono all’allora presidente Alberto Mazzi di assumere il “negher” per pulire lo stadio o per lavorare in cantiere, essendo il numero uno gialloblù imprenditore nel campo dell’edilizia. Infine dei cori a ribadire che “negri” in squadra non sono ben accetti. Tutto questo perché il presidente del Verona stava per acquistare un giovane calciatore olandese, Michael Ferrier, originario del Suriname e nero di pelle. Tra queste due date, poco prima della morte di Vincenzo Spagnolo, il 20 novembre 1994 a Brescia ultras neofascisti appartenenti all’area del disciolto Movimento politico attaccano la polizia prima di Brescia-Roma. Durante gli scontri ultras romanisti (e non) accoltellarono il vicequestore Giovanni Selmin. Successivamente furono condannati in undici tra cui Maurizio Boccacci, oltretutto tifoso interista, ex leader di Movimento politico.
La fase di trasformazione che va dall’inizio degli anni ’90 al 2003, quando Sergio Ercolano, ventenne tifoso del Napoli, cade nel vuoto e muore a seguito di scontri con la polizia prima del derby con l’Avellino, rappresenta anche l’apice della violenza da stadio e la prova che gli inasprimenti delle leggi repressive non solo hanno alzato il livello di scontro ma sono stati fallimentari nel contenere e nel reprimere le violenze dentro e fuori gli impianti. Gli incidenti relativi alla partita Catania-Palermo, in cui perde la vita l’ispettore Filippo Raciti, e la notte successiva all’omicidio del tifoso laziale Gabriele Sandri, con gli assalti alle caserme della polizia a Roma, fanno del 2007 un altro anno di svolta. È in questa fase che la legge Amato (aprile 2007) si combina con il decreto Pisanu del 2005, innalzando la possibilità di arresto in flagranza di reato differita da 36 a 48 ore, prevedendo il giudizio per direttissima anche per chi viene trovato in possesso di razzi, bengala e “fuochi” pirotecnici in genere ed estendendo le pene da 5 a 15 anni (anziché da 3 a 15) per chi commette violenza e resistenza a pubblico ufficiale con armi ma anche con il «lancio di corpi contundenti e altri oggetti, compresi gli artifici pirotecnici». Il tutto mentre gli stadi progressivamente si blindano e vengono montati sistemi di videosorveglianza all’avanguardia.
È oggettivo che dall’ormai lontano 2007 gli scontri da stadio si siano progressivamente ridotti. Nonostante ciò, i numeri di persone sottoposte a Daspo rimangono elevatissimi perché, se negli anni ’90 a essere colpito da quel provvedimento era solo chi veniva fermato per “violenze da stadio”, progressivamente sono rientrati nel provvedimento tutta una serie di comportamenti (ad esempio l’ingresso allo stadio senza biglietto o l’accensione di un fumogeno). A oggi, nonostante gli scontri o le violenze all’interno degli impianti sportivi siano praticamente azzerati, si contano comunque ogni anno almeno un migliaio di persone colpite dal Daspo. Negli ultimi anni, infatti, le fattispecie a cui applicare il Daspo si sono progressivamente estese. Con il governo Renzi-Alfano il Daspo come modello repressivo viene promosso e compie diversi “passi avanti”, dall’estensione del divieto di accedere a manifestazioni sportive per chi commette reati “di piazza” fino al “Daspo di gruppo”, che segna il passaggio del reato penale individuale alla sanzione collettiva. In base a questa estensione, se su un pullman vengono trovati oggetti contundenti il provvedimento di Daspo colpisce tutti i presenti sul mezzo, senza più necessità da parte delle forze dell’ordine e degli inquirenti di identificarne i proprietari effettivi. L’incostituzionalità del “Daspo di gruppo” non è stata negli ultimi anni oggetto né di imbarazzo né di discussione: tutti i ricorsi fatti da coloro che ne sono destinatari sono vinti, ma prima della sentenza passano mesi o anni nei quali il Daspo comunque decorre e allontana le persone dagli impianti sportivi. Lo stesso meccanismo caratterizza il “Daspo di piazza”, come evidenziato nei casi in cui è stato attuato il provvedimento. Nonostante l’evidente fallimento nei suoi 28 anni di storia del Daspo come misura per arginare la violenza da stadio, gli ultimi governi si sono impegnati alacremente per estenderla a qualsiasi forma di conflittualità sociale. Nel 2017 Minniti ha inventato il “Daspo urbano”, una misura con cui un sindaco – in collaborazione con il prefetto – può multare e poi stabilire un divieto di accesso ad alcune aree della città per chi «ponga in essere condotte che limitano la libera accessibilità e fruizione» di infrastrutture di trasporto (strade, ferrovie e aeroporto). Questa misura è stata poi estesa dall’attuale governo Conte-Salvini-Di Maio. Il resto è cronaca di questi giorni.