Abbiamo deciso di intervistare Porpora Marcasciano, presidente del Mit (Movimento identità trans) in seguito a un episodio spiacevole accaduto il 16 novembre durante una lezione sull’identità di genere all’interno del seminario “Etica e politica nella prospettiva di genere” , che ha visto protagoniste lei e Gianna Pomata, storica della medicina. Durante e dopo la lezione, infatti, l’identità trans è stata giudicata patologica e pericolosa da Pomata e da molte femministe sue sostenitrici, le cosiddette Terf (trans exclusionary radical feminists). Da questo episodio è nata una bella chiacchierata sui movimenti femministi e trans e sulle loro intersezioni e scontri. Fino ad arrivare, a ritroso, all’inizio di una storia collettiva: Stonewall.
Attraversamenti. Intervista a Porpora Marcasciano
di Alice Corte
Alice. Riassumici intanto l’episodio di attacco al movimento trans durante un seminario universitario…
Porpora. Ho partecipato al ciclo di lezioni organizzato dall’associazione Orlando tutti gli anni e vi avevo già partecipato in qualità di relatrice in passato. Quest’anno avevo dato nuovamente l’adesione, anche perché la lezione la tenevo insieme a Giulia Rodeschini che è una mia cara amica, ex Sexyshock, con cui quindi non avevo problemi. All’ultimo momento, quando mi collego invece scopro che non c’era più Giulia, perché non stava bene e c’era questa Gianna Pomata, che non conoscevo e di cui non sapevo nulla.
Alice. La storica, giusto?
Porpora. Sì è una storica della medicina. Da quel che so si trova negli Stati Uniti da circa quindici anni e ultimamente lavora alla Johns Hopkins University di Baltimora. Io mi sono messa lì in ascolto perché dovevo intervenire alla seconda ora, successiva alla sua, sulla transfobia. Lei ha fatto un discorso prettamente scientifico, ha proceduto fino a un certo punto su cose che io già conoscevo delle varie questioni psichiatriche e psicologiche, comunque patologizzanti, fin quando questa lezione ha cominciato a prendere una piega strana. Ma ho cominciato a scoprirlo mano mano. Voglio sottolineare che io non ero prevenuta perché non conoscevo questa soggetta… Lei è andata avanti e ha continuato con un linguaggio molto alto, forbito, come dire… scientifico. Argomentando cosa? (che poi è stata la sua tesi finale) che le persone trans e il transgender sono stati sdoganati dal movimento lgbtq mondiale e dalla teoria queer facendo riferimento anche a Judith Butler, cercando di dimostrare alla fine che le persone trans sono patologiche, quindi che è stata una leggerezza spostarle da un piano patologico [medico?] a uno di movimento. Si serve di alcuni esempi. Tra cui la foto di questo individuo, di cui riportava nome e cognome[ref]1. Il riferimento è a Karen White, su cui si può leggere questo articolo. [/ref], ma che non ricordo e non mi è stato poi possibile rintracciare, di questo tipo con una foto segnaletica, una chiara ed evidente foto segnaletica di un brutto ceffo. Di quelle foto in cui se anche non lo sei ti ci fanno diventare… dicendo che questo tipo avrebbe stuprato molte donne in Inghilterra e subito dopo mette la foto dello stesso soggetto al femminile dicendo che è diventato donna. Ed è stata… stato, usava sempre il maschile, arrestato e rinchiuso nel carcere femminile di non so dove, e lì ha continuato a stuprare le donne detenute. Con il commento seguente: voi capirete che il rischio, il pericolo, non è solo nelle carceri ma può essere anche nelle palestre, negli spogliatoi, nei bagni pubblici. Io questo lo trovo di una gravità e di una offensività e di, come dire, di un nazismo senza precedenti. Mi si sono drizzati i capelli… e lei ha poi continuato in una sorta di escalation finale in cui asseriva che questo tipo di notizie, di informazioni, non le si poteva dare, perché la “lobby trans” (che non so dove l’abbia vista o trovata) non lo permetteva, perché con manifestazioni molto violente e aggressive hanno attaccato diverse femministe in giro per il mondo. Ha fatto vedere delle foto di parapiglia, in cui non si capiva chi era l’uno e chi era l’altro, dicendo appunto che c’erano state delle zuffe. E ha fatto anche un esempio. A un certo punto lei dice pure che all’interno del femminismo questo pericolo, questo rischio, è stato messo in luce dalle lesbiche femministe. Come in Italia Arcilesbica[ref]2. Sul femminismo Terf e come sia stato appoggiato da Arcilesbica in Italia cfr. https://thevision.com/attualita/femministe-trans/[/ref]. Quindi il rischio delle trans che stuprano, violentano, non sono persone normali ma patologiche è stato riferito dalle lesbiche. Gianna Pomata, così facendo, tira dentro dal punto di vista scientifico una questione che è [considerata] molto molto delicata, anche se per me non lo è o non lo dovrebbe essere, nel senso che mi è molto chiaro qual è il percorso dell’esperienza trans nei secoli e negli ultimi 50 anni. Però lei lo dava per scontato dal punto di vista scientifico dicendo appunto che la categoria in cui inserire queste persone era quella della patologia. Questa in estrema sintesi la lezione che è durata un’ora.
Alice. Negli ultimi mesi una serie di attacchi (soprattutto nel mondo anglosassone) hanno accusato presunte organizzazioni e lobby che favorirebbero la transizione di genere. Questa lezione si inserisce in quel solco… ma sembrerebbe al contrario che una vera e propria attività lobbyistica stia agendo contro le persone trans.
Porpora. Esatto, ed è del tutto evidente da quello che viene messo sui social, perché poi usano questo mezzo per esplicitare le loro posizioni. Quando ho messo il post su facebook denunciando l’accaduto al seminario molte persone, la maggior parte, erano persone che si riconoscevano ed erano solidali con quanto denunciavo, poi c’erano le reclute – non so come altro definirle – di cui mi piacerebbe raccogliere le opinioni per mettere in evidenza l’aggressività, la violenza, la chiusura, cioè tutto quello che io personalmente, nel mio percorso politico, addebitavo ai fasci. All’altra parte. Come dire, non mi sarei immaginato il livello di strumentalizzazione e giramento di frittata dove le vittime erano le donne (loro, quindi) e le carnefici, anzi i carnefici, eravamo noi trans. Addirittura qualcuna mi ha dato dello stupratore. Al maschile. Cioè, lì mi ha fatto pensare la cosa, perché dico: caspita, non solo rigirano la frittata, ma partono su degli attacchi che sono così pesanti e così categorici che lasciano senza parole. Questo è quello che mi stupisce e mi lascia interdetta, perché sai, io posso pensare che ci siano posizioni e visioni diverse, però quelle posizioni e visioni diverse sostenute da questa aggressività, violenza e saccenza le conosco solo nell’estrema destra.
Alice. Nella tua esperienza, invece, in cosa è stato importante il movimento femminista per te e per il movimento trans?
Porpora. Il movimento femminista e quello trans non si sono aiutati vicendevolmente come pure emerge dal percorso del movimento gay. C’erano degli attriti. Ma in quegli anni (gli anni ’70, NdR) che erano anni di una grossa espansione di movimento, oggi inconcepibile, parliamo di movimenti macro dove era difficile distinguere femminista da non femminista, perché, mi spiego meglio, nel movimento, nella sua totalità, nel cosiddetto movimento antagonista, extraparlamentare, radicale, chiamiamolo come vogliamo, però in quel momento tutte le donne si sentivano e si consideravano femministe… avevano introiettato un discorso e avevano invertito quel discorso prendendo loro la parola ecc., questo è del tutto chiaro ed evidente. Quindi io fondamentalmente mi riferisco a un femminismo in senso lato. Nel senso ampio del termine. Poi è chiaro che c’erano i collettivi specificamente femministi. C’erano quelle separatiste come altri gruppi e collettivi, che si sono sempre intrecciati, escluso le separatiste, con il resto del movimento, con i vari collettivi. In quasi tutte le facoltà universitarie esisteva, tra i tanti collettivi, quello femminista. Che però viaggiava per conto suo per quanto riguarda la riflessione, l’autocoscienza, le pratiche, ecc., ma poi si intrecciava con il resto. Il periodo in cui ero a Napoli, per dire, c’erano le Nemesiache della Mangiacapre, separatiste, loro non volevano sapere niente di nessuno. Poi c’erano altri gruppi. A Roma c’era il Governo Vecchio. Dove, nonostante conoscessi diverse compagne, io non entravo e non potevo entrare perché non di genere femminile. Ma io fino a lì c’arrivo. C’era un’elaborazione in evoluzione. C’era un discorso in evoluzione. Quindi ci stava pure che le donne e le femministe si ricavassero degli spazi. Esclusivi, ma non escludenti, nonostante per quanto detto ci possa sembrare il contrario. Per me era un discorso rispettabilissimo, anche perché io non avevo cominciato nessun percorso di transizione. Ero confusa, come lo sono tuttora. Il rapporto prolifico con il femminismo si radica nel fatto che il femminismo in senso lato ha messo in discussione i cardini della cultura patriarcale, quello è innegabile, non possiamo negarlo. E su quella decostruzione, su quella messa in discussione, si sono inserite e inseriti movimenti gay lesbici trans e queer. Però quello va riconosciuto. Ma va riconosciuto da ambo le parti, dove ognuno ha avuto un ruolo, ha fatto la sua parte. Per quanto riguarda l’esperienza trans, secondo me, ha messo in discussione, ha decostruito anzi, l’essere maschio, l’essere maschile. Parlo delle trans chiaramente. E quello è un atto rivoluzionario e politico di una portata esagerata. Se non si riconosce questo, penso che il discorso non possa andare molto in là. Io questo l’ho evidenziato anche nel libro Altri femminismi (Manifestolibri, ultima ed. 2019). Non era chiaro all’inizio quando succedeva: mentre la storia accade non sono chiari i perimetri, i riferimenti, le coordinate, però dopo si schiariscono ed è del tutto chiaro, e a mio avviso evidente, che tra gli anni ’60 e ’70 la comparsa del soggetto, della soggettività trans, decostruisce il perno stesso della cultura patriarcale. Questo è un dato di fatto come quello del femminismo.
Alice. In questo contesto, rispetto ai movimenti femministi, che ne pensi invece della transizione da donna a uomo (cosiddetta f to m)?
Porpora. Intanto faccio una premessa e la sottolineo, io di solito parlo delle trans perché è l’esperienza che mi ha attraversato e che attraverso. Do per scontato e penso invece che l’altra esperienza, quella da donna a uomo (f to m) è giusto ne parli chi la vive, nonostante io non mi sottragga a quel tipo di narrazione. Le femministe (che non sono “il femminismo” ma ne portano avanti le declinazioni) rispetto all’identità di genere e all’identità di genere trans hanno dei punti di vista differenti. Le femministe essenzialiste non riconoscono passaggi da maschio a femmina o da femmina a maschio, assolutamente. In altri femminismi, passando per gradi e sfumature, si vedeva il transessualismo da uomo a donna come un riproporre dei modelli stereotipati. Viceversa, l’altra esperienza (da femminile a maschile) la si vedeva come un frutto del femminismo dal quale si era dipanato il movimento lesbico e da lì quello trans f to m. E lo scontro era tutto incentrato sulla genealogia politica… solo dopo è diventato qualcosa di diverso, di più violento e di negazionista.
Il primo dibattito che c’è stato in merito lo ricordo bene, è stato nel 2004, quando venne in Italia Leslie Feinberg che fece un suo tour, toccando diverse città, e a Firenze, al Giardino dei Ciliegi ci fu un dibattito molto acceso in quello che considero il primo momento collettivo in cui si è toccato il punto. Il punto qual era?, secondo le compagne femministe presenti, la transessualità, riferita all’esperienza f to m, era una costola del femminismo. E il femminismo con le sue pratiche ed esperienze lo aveva prodotto. Mentre c’erano dei trans, ancora non molti, in sala, che si opponevano a questa visione, rivendicando una propria autonomia di percorso e di costruzione politica. Successivamente il dibattito non si è fermato, anzi diciamo che da lì in poi ha avuto un approfondimento, un’espansione. E ha interessato sempre [di più] il movimento lgbtq ed esperienze queerizzate. Poi è comparso all’orizzonte quest’essenzialismo che ha riportato la discussione e il dibattito in un ambito molto più ristretto e devo dire tragico. Dove queste signore escludono completamente che ci possa essere la transizione, perché si continua ad essere uomini o viceversa donne (usano purtroppo questi termini) o nella fattispecie gay o lesbiche… è lì la questione. È come se loro mettessero un muro: su questo non si discute. La donna è una donna e non c’entra niente col resto. Rispetto al quale ci sarebbe molto da parlare, perché non è una questione facilmente liquidabile. È proprio il perno della questione. Il problema è che intanto quando queste questioni vanno a finire sui social, nello specifico su facebook, diventano la marmellata in cui non si capiscono più i termini della questione e diventa una sabbia mobile.
Dove per dire, partendo da me (come da pratica femminista), io ho sempre pensato di essere una trans, una persona trans e ho sempre sentito estraneo il discorso di essere una donna trans. Perché l’essere trans era per me una soggettività/un percorso/un transito particolare. Rivendicavo sia un’autonomia sia una costruzione di senso che prima non c’era stato. Dire «sono una donna o un uomo», senza metterci trans, già significa rinnegare quel percorso, perché si passa a quelle categorie che ci sono state da sempre imposte. Tralasciando il raggiungerle o meno, si salta quel transito che c’è in mezzo. Oggi si parla invece di uomini trans e di donne trans, forse in maniera più giusta ma non ancora perfetta. Anche se la perfezione non esiste, perché la pratica discorsiva è in evoluzione. Cambia. Ed è su quello che io concentrerei l’attenzione. Noi del mondo trans lo abbiamo fatto con diversi seminari dove si è dibattuto su chi siamo, chi eravamo, chi saremo… dove è chiaro che l’elemento del genere è quello centrale. Ma io non ho mai pensato che la questione di genere sia così facilmente e superficialmente liquidabile o trattabile. È qualcosa che va trattata con gli attrezzi giusti e la dovuta attenzione e soprattutto con la dovuta importanza che ha. Quindi se da una parte ci sono le signore essenzialiste dall’altra c’è anche una mancanza, un vuoto di dibattito, di riflessione. Però io mi sento in una posizione strana. Ho sempre paura di sembrare rappresentativa di una categoria, un gruppo, una comunità, nel senso che i bisogni, le problematiche, le aspettative, cambiano, sono diverse, non posso essere io a rappresentare questa comunità. Io resto in ascolto, cerco di tradurre, di decodificare, riportare quelli che sono i bisogni. Ma non posso assumermi la responsabilità di tutte le posizioni, mi risulta faticoso, difficile e anche pesante. Sono presidente del Mit, di un’associazione, Movimento identità trans, che comunque è l’associazione più antica d’Italia. È nata nell’81, ha dei servizi, ha dei progetti in essere tutti rispondenti ai bisogni e alle problematiche delle persone trans. Quindi io per incarnare il ruolo della presidente devo stare un po’ sopra le parti, perché ho una visione personale ma c’è un piano istituzionale, i servizi che offriamo sono istituzionali in Regione Emilia-Romagna e Comune di Bologna, quindi c’è un piano diverso. Poi c’è un piano umano, delle persone, l’umanità le cui richieste, in linea di massima, potremmo dire che sono riportabili all’esigenza di essere se stesse, quindi da uomo diventare donna, o viceversa. Però quello che viene fuori è che ci sono svariati percorsi, svariate esigenze, laddove non tutte le persone mirano allo stesso obiettivo o hanno lo stesso percorso. Infatti oggi è la scienza stessa (almeno quella più liberata e liberante) che parla di varianze di genere o di fluidità di genere. Però partendo da questa fluidità e da questa varianza mi sono sempre posta la domanda: in qualità di responsabile, come mi pongo? Perché da una parte dico: vabbè sono depatologizzante però poi come faccio a gestire quei servizi che riempiono un buco del welfare? Laddove la maggior parte delle persone trans vogliono accedere a quello. Però quello sottostà a dei regolamenti, a degli standard… c’è una complessità che molto spesso, sia a livello teorico che pratico viene liquidata. Quando manca la responsabilità della complessità lì subentra il populismo, le facili ricette, «non sono così, sono colà, non voglio essere patologizzata»… sì ci sta tutto, però tenendo presente la complessità. E io mi ritrovo in un ruolo non facile da questo punto di vista.
Alice. Però un conto è dire “c’è una disforia” un conto è parlare di stupratori…
Porpora. Lì entra un discorso più che psicologico, sociologico e culturale. Lì Gianna Pomata non parlava della disforia riferita a una persona, l’ha fatto solo con l’esempio dello stupratore. Però parlando di stupro parli di una pratica che rientra più nella sociologia. In questioni culturali. E cambia la cosa. Anche se parlando della patologia e quindi della soggettività io non mi riconosco nemmeno nel discorso medico/psicologico/psichiatrico della patologia, perché le persone trans che conosco e io stessa non ci siamo mai sentite patologiche o come dire disforiche. Dico sempre euforiche sì, disforiche no. Quindi anche quello va tenuto nella dovuta considerazione. Sono percorsi che si intrecciano. Ci sono percorsi personali, politici, antropologici, filosofici, culturali… sono tanti i piani e le intersezioni.
Alice. Visto che siamo un’associazione che si occupa di “storia della conflittualità sociale”, vuoi parlarci un po’ della storia del movimento trans?
Porpora. Penso che intanto il “movimento trans” – chiamiamolo così – abbia avuto delle analogie in tutto il mondo. Noi notiamo, se andiamo poi a indagare nei vari luoghi del mondo in cui ciò era consentito o possibile, vediamo che più o meno tra gli anni ’50 e ’60 emerge una soggettività che fino a quel momento era stata nascosta perché passibile di reato e/o repressione… Quindi tra gli anni ’50 e principalmente gli anni ’60, il periodo delle grandi rivoluzioni, questa soggettività viene fuori e io vedo dei parallelismi in tutto il mondo, almeno nei paesi che conosco, pratiche e passaggi che si equivalgono. Noi molto facilmente parliamo dello Stonewall[ref]3. Cfr. https://it.wikipedia.org/wiki/Moti_di_Stonewall[/ref], nel 1969, come atto di liberazione, Susan Stryker che è una storica trans porta l’esempio della Compton Cafeteria di San Francisco la cui rivolta, diventata famosa, risale a tre anni prima. Ascoltando le testimonianze invece delle pioniere in Italia, mi dicono che una delle rivolte che fecero a Roma, prima ancora della rivolta della piscina a Milano che è nell’80[ref]4. Elia A.G. Arfini, La prima protesta trans. 4 luglio 1980, in «Il Mulino», vers. online, luglio 2019, https://www.rivistailmulino.it/news/newsitem/index/Item/News:NEWS_ITEM:4800.[/ref], fu in un supermercato sulla Tuscolana, non ricordo se una Upim o una Standa, dove non volevano servirle e loro, che erano una quindicina, chiamarono i rinforzi dicendo: “tanto se ci devono arrestare comunque, che sia…” incominciando a buttare a terra scaffali e mettere in moto la rivolta. Qual è la differenza tra la rivolta a Roma che succedeva anni prima dello Stonewall, quella di San Francisco, quella di Milano…? È che secondo me ci sono delle concause che fanno sì che possa succedere in un determinato momento che ha molta più visibilità e molto più riscontro. La famosa “protesta perfetta”… a Stonewall è successo questo. Credo che se fosse successo due anni prima non si sarebbe innescata nessuna rivolta. Come invece era successo a San Francisco. A Stonewall c’è stata una miscela di cause e di fatti: Stonewall era dentro il Greenwich village, storicamente luogo di artisti, bohemien, alternativi, la San Lorenzo o il Pigneto nostri, dove c’era una solidarietà anche con il resto del quartiere; c’erano movimenti come quello dei neri, delle donne, degli studenti, c’erano movimenti molto effervescenti, contro la guerra in Vietnam, che hanno fatto sì che quel cerino acceso trovasse il carburante giusto per esplodere. Come è successo poi in Italia e in tutte le parti del mondo. Però diciamo che noi riconosciamo quell’atto, la rivolta dello Stonewall, come il punto di inizio di una storia.
[1]Il riferimento è a Karen White, su cui https://www.theguardian.com/uk-news/2018/oct/11/transgender-prisoner-who-sexually-assaulted-inmates-jailed-for-life
[2]Sul femminismo Terf e come sia stato appoggiato da Arcilesbica in Italia cfr. https://thevision.com/attualita/femministe-trans/
[3]Cfr. https://it.wikipedia.org/wiki/Moti_di_Stonewall
[4]Elia A.G. Arfini, La prima protesta trans. 4 luglio 1980, in «Il Mulino», vers. online, luglio 2019, https://www.rivistailmulino.it/news/newsitem/index/Item/News:NEWS_ITEM:4800.