Giù le maschere
Posted in: ZapruderLa riflessione del numero è intorno al rapporto tra eredità coloniale e presente in cui le pratiche di razzializzazione generano una linea del colore.
La riflessione del numero è intorno al rapporto tra eredità coloniale e presente in cui le pratiche di razzializzazione generano una linea del colore.
A partire dagli strumenti dell’ecologia politica, ci siamo interrogati sul fenomeno pandemico entro la cornice più ampia costituita dalla relazione dialettica tra l’essere umano e il territorio in cui vive, in una considerazione sistemica del rapporto tra ambiente e salute. Il numero copre un arco temporale che dall’inizio del Novecento arriva – anche per gli effetti delle devastazioni ambientali – ai giorni nostri. Presentiamo quindi episodi di conflitto sociale che, in maniera più o meno intensa ed esplicita, tematizzano la questione ambientale tenendo conto della «grande accelerazione» dell’influenza dell’essere umano sulla biosfera – proliferazione dei processi di accumulazione delle risorse, incremento dell’utilizzo energetico, aumento demografico, erosione di ecosistemi e forme di vita, espansione dei complessi urbani – avvenuta soprattutto a partire dal 1945 – e dell’intreccio fra ingiustizia sociale e ingiustizia ambientale.
Alunni asini, insegnanti impreparati e pigri, edifici fatiscenti sono i leitmotiv che fanno da cornice a un’istituzione considerata sempre, e da sempre, un passo indietro rispetto alla società: la scuola. L’obiettivo di questo numero di «Zapruder» è guardare al passato per tracciare percorsi, ricostruire cambi di paradigma, offrire chiavi interpretative e sottrarci al soffocante presentismo di una “crisi” senza tempo.
L’obiettivo di questo numero di «Zapruder» è mostrare come il mondo medievale possa essere integrato nel dibattito odierno, a patto di superare l’immagine caricaturale di cui spesso è vittima.
Se l’obiettivo è la conoscenza della realtà, l’importante è approssimarsi ad essa e non rivendicare la superiorità del metodo storico o di quello letterario. Il problema non è allora quello di sfumare i confini fra le due discipline, già ampiamente sfumati e semmai da reinterpretare, quanto “servirsi dei saperi” senza pregiudizi di supremazia, da un lato; dall’altro, favorendo il dialogo tra conoscenze che reciprocamente si rafforzano, seguendo gli insegnamenti della storia sociale di marca annalistica.
Cosa è rimasto delle giornate del luglio 2001 a venti anni di distanza? Sembra che l’unica memoria condivisa sia quella delle violenze. In questo numero ci proponiamo di indagare piuttosto il prima e il dopo “Genova”: quali terreni comuni sono stati costruiti per arrivare a quei giorni, quali percorsi sono nati a loro seguito.
A fronte dell’attuale crisi della democrazia liberale (scarsa partecipazione, esclusione dei corpi intermedi, decisionismo e crescente centralità del potere esecutivo), è necessario immaginare un futuro per la democrazia, pensandola ancora come un campo di battaglia.
Dal discorso razzista al linguaggio che delinea l’idea di decoro urbano, dalle lingue dei segni ai tatuaggi e ai murales, dalla ricerca di una lingua internazionale comune all’affermazione dell’inglese come lingua “franca”, il numero pone i linguaggi al centro della riflessione storica come spazi da indagare per comprendere le dimensioni sociali dei conflitti.
Finis Europae mira a sviluppare una narrazione alternativa della storia della “costruzione europea”, insistendo su un arco cronologico che consenta di individuare i trend di lungo periodo che hanno informato la realizzazione del progetto comunitario.
Le donne che agiscono violenza s/compaiono nella storia sfidando lo stereotipo che vedrebbe una netta cesura tra “essere portatrici di vita” e “dare la morte”. Gettiamo lo sguardo sullo specchio deformante attraverso cui è stata letta la loro esperienza.
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