di Alessandro Santagata
Incontri. Da oggi a Torricella il seminario annuale della rivista di studi storici «Zapruder»
Quando partono gli spari che feriscono a morte John F. Kennedy ci sono almeno quattordici cineprese puntate sul corteo presidenziale. Una è nelle mani di Abraham Zapruder, cineasta amatoriale, che nei suoi ventisei secondi di registrazione cattura l’intera sequenza dell’assassinio. Il filmato contribuirà a rendere più problematica la ricostruzione ufficiale della commissione presidenziale. Allo stesso modo, e come sanno i lettori di questo giornale, i fascicoli di «Zapruder. Rivista di storia della conflittualità sociale» si propongono di decostruire le verità dei poteri, raccontare una storia altra e incidere su di essa.
Figlia di Genova e del «movimento dei movimenti», «Zapruder» rappresenta una splendida anomalia nel panorama italiano degli studi storici. Esce in cartaceo dal 2003 senza ricevere finanziamenti esterni, vive del contributo gratuito di una fitta rete di precari e precarie della ricerca e scrive quel che pensa senza riverire appartenenze accademiche e tradizioni politiche. Al quadrimestrale dell’associazione promotrice «Storie in movimento» si deve anche l’organizzazione del simposio annuale di «storia e conflittualità sociale», in corso da oggi a Torricella (Magione-PG) fino a domenica 6 settembre.
L’appuntamento di quest’anno è stato preceduto da uno dei numeri più stimolanti del 2015 con oggetto il rapporto tra storia pubblica e uso pubblico della storia. «Di chi è la storia?», si domanda la redazione, ovvero chi la pratica e chi ne fruisce? Con quali strumenti viene oggi veicolata?
Questi interrogativi sono da tempo il terreno della public history, disciplina che ha come campo d’indagine la dimensione della storia pubblica e l’uso pubblico della storia. Quello che sembra mancare invece, soprattutto in Italia, è un’adeguata consapevolezza da parte degli studiosi delle implicazioni del web 2.0 (e oggi 3.0), da un lato nella scrittura della storia, dall’altro nella sua narrazione. Serge Noiret, da anni impegnato a riflettere su questi temi, mette in luce nel suo saggio come il mestiere dello storico sia stato modificato profondamente dalla partecipazione via web alla costruzione delle banche dati, ma anche dal coinvolgimento diretto dei testimoni attraverso i social media. Sono così fioriti gli spazi virtuali deputati alla coltivazione e alla promozione delle identità locali. Nello stesso tempo, nel web trovano spazio vulgate di ogni tipo, spesso e volentieri distorte e funzionali a interessi di parte. Ecco allora che lo storico è chiamato oggi a svolgere una funzione preziosa di mediazione che richiede però un livello adeguato di preparazione per filtrare le fonti digitali e, più generale, gestire i meccanismi legati alla memoria e all’uso pubblico della storia. In Italia – spiega la redazione– questa carenza si riscontra facilmente quando gli storici sono chiamati a interagire con gli attori istituzionali nell’organizzazione di mostre, festival e celebrazioni varie.
Il fascicolo fornisce alcuni esempi attingendo anche all’esperienza delle commemorazioni per i centocinquant’anni dall’Unità d’Italia, decisamente non immuni da una strumentalizzazione politica della storia nazionale. Al simposio questo tipo di riflessione farà da sfondo alle discussioni sulle feste dell’opposizione, sulla giustizia politica nell’Italia repubblicana, sulle economie urbane e sulla storiografia attorno alla Resistenza. L’obiettivo – spiegano gli organizzatori – sarà «esplorare e sperimentare nuove prospettive teoriche e metodologiche» per non ridurre la storia «al resoconto scritto delle cose “così come accadute”». La storia, infatti, «è uno spazio agito da corpi che prendono posizione e disegnano una geografia complessa, fatta di gesti di resistenza messi in atto, di volta in volta, contro le diverse forme del dominio e del comando». Anche a nome della redazione, un augurio di buon lavoro.
(Pubblicato su «il manifesto» del 04 settembre 2015)