Nel corso della settimana passata, Storie In Movimento era riuscita a costruire un densissimo calendario di presentazioni: Firenze, Bologna, Pisa, Roma, Torino. Tre di queste sono state rimandate a causa della diffusione di varie ordinanze regionali riguardanti il Covid-19 o delle scelte dei collettivi che ci avrebbero ospitati/e. Chi fa parte di un’associazione culturale e/o di un collettivo politico sa quanto impegno richiedano queste iniziative, dalla necessità di organizzare gli spostamenti alla diffusione degli eventi, alla loro realizzazione. Arrivati ora alla seconda settimana di “emergenza”, la pluralità di posizioni individuali all’interno dell’associazione ha alimentato una discussione interna su come procedere rispetto alle prossime iniziative.
La conclusione condivisa dalla maggior parte di noi, e che pertanto abbiamo deciso di portare avanti come associazione, è che sia importante in questa fase limitare e quindi rinviare gli eventi pubblici programmati da SIM nelle zone a maggior rischio di contagio, le cosiddette regioni cluster (nel momento in cui scriviamo: Emilia-Romagna, Veneto, Lombardia). Questo non in ossequio alle ordinanze locali (di cui poco ci interessa e sulla cui natura certamente non neutra molto si potrebbe dire e si è detto) ma piuttosto per un senso di responsabilità nei confronti di quanti e quante potrebbero essere messi a rischio.
Il Covid-19 è un fenomeno fortemente politico. Tutta una serie di elementi che compongono il sistema nel quale viviamo sono emersi con forza in questi giorni, amplificati dal clima di tensione che si sta creando: la supremazia della logica del profitto su ogni altra considerazione, tanto per cominciare. Non si spiegherebbe altrimenti la rapidità con cui sono stati chiusi luoghi pubblici e molte attività “sociali” mentre le attività produttive e logistiche continuano per lo più a rimanere in funzione; né l’urgenza con cui certe città chiedono di “ripartire” per bocca dei loro sindaci, assessori, imprenditori. La precarietà , come spesso accade, si amplifica nelle situazioni di incertezza generalizzata, mostrando quali sono le categorie più deboli all’interno del nostro sistema sociale ed economico. Il razzismo istituzionale e quello “da strada”, lo squallore mefitico di un sistema di informazione sensazionalista. La disorganizzata, schizofrenica e spesso inadeguata attività di regolamentazione che alcune regioni hanno posto in essere, con un portato di disciplinamento e controllo, che rischia di esondare il mero contenimento del contagio. Molti e molte compagni/e si sono scagliati contro la riduzione di socialità imposta dall’alto e il tentativo assurdo di rinchiuderla per un tempo che si preannuncia indefinito. Proprio in queste ore, il garante per gli scioperi ha suggerito che lo sciopero femminista e transfemminista del nove marzo non debba avvenire, chiamando insensatamente in causa il virus.
Però due elementi dobbiamo notarli: questo virus esiste, e ha già causato in Italia la morte di oltre cento persone; è altamente trasmissibile, e mette a repentaglio soprattutto soggetti che sono già deboli e in condizioni di salute precarie. Vale la pena notare che anche questo si inserisce all’interno di un quadro politico di austerity, privatizzazione e precarizzazione del personale, con il sistema sanitario che versa in condizioni pessime sia per quanto riguarda la disponibilità di strutture e posti letto per la terapia intensiva che per quel che riguarda la presenza di personale. Questa situazione fa sì che si rischi un effetto a catena e un potenziale collasso del sistema di cura.
Non a causa delle ordinanze quindi, né tantomeno per panico o paranoia, ma a partire da un elementare senso di cura e di responsabilità verso le comunità militanti che ogni giorno attraversiamo, abbiamo deciso di ridurre le iniziative previste per questo periodo.