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Pensare (da sud) con la musica

Iain Chambers, Mediterraneo blues, Napoli, Tamu edizioni, 2020, pp. 144

In “Giù le maschere“, il numero 59 di «Zapruder», si parla molto di costruzioni contro-egemoniche e decoloniali della conoscenza, degli immaginari, delle visioni del mondo, e viene messo in luce il rapporto fra linea del colore attuale e costruzioni coloniali del passato. Allo stesso modo, Mediterraneo blues attraversa il mar Mediterraneo per “guardare il mondo da Sud”. “Letto per voi” da Fabio Bertoni.

Pensare (da sud) con la musica

di Fabio Bertoni

Tamu propone la riedizione di Mediterraneo Blues di Iain Chambers, una pubblicazione che ben indirizza l’ambizioso spirito engagée e critico di un progetto che vuole costruire una prospettiva su «il mondo visto da Sud». Precedentemente edito da Bollati Boringhieri nel 2012, il testo è stato per questa riedizione parzialmente aggiornato e arricchito da un importante capitolo inedito, “Lezioni dal Sud”.

L’intero testo è incentrato su una chiave epistemologica, mostrando le potenzialità di un «pensare con la musica». L’uso delle musiche e delle voci del Mediterraneo suggeriscono forme di pensiero eterodosse e contro-egemoni rispetto alle categorie analitiche radicate nei rapporti di potere. I suoni propongono ed espandono questioni critiche, in una forza narrativa che attira verso ciò che resiste, turba, interroga e scardina la presunta unità del presente. Da Co’Sang a Roza Eskenazi, da Umm Kalthum alla club culture di Nairobi, la colonna sonora del libro aiuta ad orientarsi nelle rotte mediterranee del pensiero di Chambers, che muove per strappi, immagini e suggestioni.

Voci e suoni del Mediterraneo evidenziano una fitta rete di contaminazioni tra le sponde nelle pieghe della storia e geopolitica coloniale. Sono qui evidenti le connessioni con il lavoro di Gilroy e il parallelo con l’Atlantico attraversato dalle culture delle diaspore e della violenza schiavistica, in una colonna sonora blues, funk, rap che continua a creolizzare e destabilizzare le coordinate occidentali.

La circolazione di storie nel Mediterraneo permette di costruire un pensiero critico alla cosiddetta “modernità”, strumento di riproduzione del privilegio e “condanna” per chi ne è stato escluso. Come Chambers scrive a incipit del suo capitolo inedito, «Ritornare al sud come problema critico, politico e storico significa in definitiva ritornare al nord e alla sua gestione egemonica del mondo» (p. 94) e, in questo modo, significa evidenziare come modernità, democrazia, cittadinanza, universalità sono categorie che dipendono «dalla subordinazione e dall’esclusione dei corpi e delle storie di coloro che abitavano il mondo coloniale e che ora vivono nella postcolonia» (p. 97). La musica è, in questa opera di critica ai principi ordinatori del pensiero occidentale, strumento aperto, che dà spazio a pensieri nuovi. A rendere più intrigante tale intenzione, la scelta teoricamente radicata di abbracciare una prospettiva non-rappresentazionale sulla musica. Essa non è “oggetto” di indagine, ma è una specifica materialità, sostenuta da corpi individuali e collettivi e al tempo stesso affettivamente li costituisce. La musica quindi non solo “rappresenta” questioni sociali, culturali e storiche pre-esistenti, ma è in divenire, potenza che scompagina, decostruisce, costituisce. Questo non esclude la possibilità di procedere dalla musica per suggestioni, verso approfondimenti: Chambers in più punti procede in questa direzione, parlando delle donne nel raï e del rap degli italiani senza cittadinanza, avanzando ulteriori linee di ricerca da approfondire, seguendo la musica, al di fuori da categorie aride come autenticità, importazione, tradizione.

Secondo, fondamentale, aspetto metodologico è la ri-concettualizzazione dell’archivio. Chambers sin da subito evidenzia il suo testo è una ricerca di storie minori o, con Gramsci, «tracce senza inventario» (pp. 10-11). Similmente, si pone l’obiettivo di tracciare mappe al di fuori dalla cartografia. Se l’archivio, in senso foucaultiano, costituisce la legge di ciò che può essere detto e il governo degli enunciati in quanto avvenimenti, questo è necessariamente silente a riguardo del Mediterraneo: un silenzio funzionale alla necropolitica che oscura corpi, attraversamenti, rotte e movimenti. Il suono allora «taglia il tempo per esporlo a un senso diverso» (p. 130), diventando un archivio alternativo, radicalmente inconciliabile con la storia del Mediterraneo visto da nord. La sfida di Mediterraneo Blues a chi fa ricerca torna allora al «mondo visto da Sud»” di Tamu, e consiste nel trovare, con musiche, voci e produzioni dal margine un racconto che sappia essere all’altezza di quel senso diverso, che non si limiti a testimoniare, ma sappia spezzare politicamente le categorie analitiche della modernità egemone.

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