John Carlos, Autobiografia di una leggenda. I pugni olimpici che hanno cambiato il mondo, DeriveApprodi, 2024, pp. 173
16 ottobre 1968 a Città del Messico Tommie Smith e John Carlos alzano il pugno al cielo sul podio dei 200 metri. Un ritaglio di questa famosa immagine lo avevamo già adottato (e adattato) come copertina di Identità in gioco. Sport e società in età contemporanea, uno dei primi numeri di «Zapruder» (n. 4 – mag-ago 2004). A distanza di 20 anni, e nell’anno dei Giochi olimpici, torniamo a occuparci di questa storia accompagnati da Lidia Martin che ha letto per noi/voi l’autobiografia di John Carlos.
Buona lettura!
«Bisogna organizzarsi dove si è situati», ci dice John Carlos
Lidia Martin
«Ancora oggi scuoto la testa perché la loro grande critica nei nostri confronti era che stavamo mischiando politica e sport, mentre lo sport dovrebbe essere una zona libera dalla politica» (p. 98), John Carlos sintetizza così un mantra che ha, e abbiamo, sentito ripetutamente. Eppure, Parigi 2024 ci ha per l’ennesima volta mostrato quanto sia poi confutato nei fatti e come sia errato e/o illusorio pensare che sport e politica abitino universi paralleli e mai convergenti. E a Los Angeles 2028, i prossimi Giochi olimpici, potremmo anche scoprire che il punto più basso non lo abbiamo neppure raggiunto questa estate con il dibattito su cosa significhi essere donna oggi – uso questa citazione semi-ironica come posizionamento perché mi rifiuto di entrare in una discussione che, anche in difesa, ha sentito il bisogno di grufolare nel contenuto delle mutande altrui.
A inizio anno DeriveApprodi ha pubblicato la traduzione italiana di The John Carlos Story (Haymarket Books, 2011). Niente di nuovo sotto il sole per chi studia o si interessa di sport e politica, ma un testo che ha la forza dell’autobiografia, dell’autonarrazione. Qui, come spesso succede nelle narrazioni di sé, tutto si tiene insieme: dal rogo degli alberi infestati dalle processionarie del cortile di Harlem, al pugno al cielo sul podio di Messico 1968. Il ritmo della sua storia Carlos lo rende impaziente, convulso. L’andatura dell’autobiografia esprime la stessa velocità che metteva nella corsa per arrivare prima degli altri, ed è alimentata dallo stesso fuoco che gli faceva dire «hai 48 ore per risolvere questo problema…».
John Carlos ci racconta, così, che si poteva:
- allenarsi correndo lungo il ponte della 155 a strada con 50 libbre di scatole di cibo rubate dai treni merci per regalarle, come faceva Robin Hood, alla propria comunità nera e povera;
- inseguire (velocemente) Malcom X lungo le sue line zone per interrogarlo sul senso della vita;
- imparare che «la lotta per la giustizia sociale è una maratona, non uno sprint» (p. 79);
- incontrare Martin Luther King, l’idolo di sua madre, a una delle riunioni embrionali del Progetto olimpico per i diritti umani (Ophr);
- ipotizzare – prima che la strage di piazza delle tre culture (Città del Messico, 2 ottobre 1968) la rendesse impossibile – un’azione congiunta con il movimento studentesco messicano durante i Giochi olimpici;
- abbandonare l’idea del boicottaggio di Messico 1968, una volta realizzato che gli atleti che non avrebbero partecipato alle gare erano troppo pochi perché la protesta potesse essere efficace,
e che si può alzare la testa per cambiare le cose.
«The best way to make your dreams come true is to wake up» è la frase di Muhammad Alì che Lorenzo Iervolino sceglie come esergo della sua storia di Smith e Carlos (L. Iervolino, Trentacinque secondi ancora. Tommie Smith e John Carlos: il sacrificio e la gloria, 66thand2nd, 2017).
Si può e farlo ha un prezzo. Nel caso di Carlos, molto salato. Ma non ci si pente. Carlos non si pente mai, neanche quando decide di andare a parlare con i professori dei suoi figli che a scuola insegnano che il «loro padre era un cattivo per quello che aveva fatto nel 1968» (p. 132). Non fa un passo indietro, altro che la promessa di Payton Jordan – allora capo-coach della nazionale statunitense di atletica leggera – che questi ragazzi se ne sarebbero pentiti per il resto della loro vita (p. 9; cfr. anche Sergio Giuntini, Pugni chiusi e cerchi olimpici. Il lungo ’68 dello sport italiano, Odradek, 2008, p. 141).
Tommie Smith, Peter Norman e John Carlos sono uno degli sfondi della mia routine quotidiana. La famosa foto è un poster che da anni è appeso a una parete di casa, ci passo davanti tutti i giorni in cui non sono a zonzo. L’immagine è potente. Ha ragione Carlos, è potente in sé. Lo è per i pugni alzati, per i guanti neri e per la posa perfetta di Smith. Ma è più potente se si conosce anche tutta la storia, e questa è una storia che merita proprio di essere conosciuta.