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La banalità del male della «Stampa»: due lettere aperte su Kesserine e Colonia

Riceviamo e volentieri pubblichiamo due testi di protesta contro il pericoloso e violentissimo regime discorsivo (dalle oscene conseguenze materiali) che avanza e tenta di imporsi come “senso comune”. Non è a suon di petizioni che si cambieranno le cose ma questi testi hanno il pregio di sviluppare analisi  e strumenti critici per aiutarci a capire il presente come storia.

Tunisia, una lettera aperta contro la disinformazione de La Stampa

La lettera (che può essere vista anche qui) che riceviamo è stata firmata da docenti, ricercatori, attivisti, studenti, cooperanti e semplici cittadini italiani e tunisini in seguito all’articolo del giornalista Domenico Quirico pubblicato su “La Stampa” lo scorso 28 gennaio dal titolo“Sulle montagne della Tunisia gli ex ragazzi della rivoluzione adesso sognano il Califfato”. L’iniziativa è volta a fare chiarezza su un’interpretazione strumentale e faziosa che non rende conto del periodo storico che la Tunisia sta attraversando, a 5 anni di distanza dalla solelvazione popolare che portò alla caduta del regime di Ben Ali. Per aderire all’iniziativa contattare gli indirizzi e-mail in fondo all’articolo. 

Assistiamo da tempo al tentativo di trasmettere un’immagine stereotipata e semplificata della complessa realtà che ruota intorno al mondo arabo, in particolare da quando,in seguito alle “rivoluzioni” arabe del 2011 e all’aumento del fenomeno migratorio nel bacino Mediterraneo, l’attualità di alcuni Paesi ha acquistato visibilità in diversi media mainstream.

Come spesso è avvenuto per la Siria, l’Egitto, la Palestina e altri Paesi dell’area, la Tunisia è attualmente vittima di una campagna di disinformazione che mira a semplificaree manipolare la complessa realtà esistente, peraltro in continua evoluzione.

L’articolo “Sulle montagne della Tunisia gli ex ragazzi della rivoluzione adesso sognano il Califfato” pubblicato da La Stampa in data 28 gennaio a firma di Domenico Quirico è, a nostro avviso, un esempio di disinformazione e di interpretazione strumentale del periodo storico che il Paese sta vivendo. Dalle parole dell’autore sembrerebbe che la rivoluzione tunisina, dopo aver aperto e illuminato di speranza il Mediterraneo nel 2011, starebbe oggi virando verso una traiettoria buia che porterebbe ad una “terribile rivoluzione” islamica con epicentro nella città di Kasserine. Quirico rappresenta i nuovi leader della rivoluzione come “uomini arditi dalle lingue affilate e le barbe lunghe”. Il tutto, poi, è fomentato dall’apologia di Daesch che, a detta del giornalista, riempirebbe le mura della città.

Come cittadine e cittadini italiane/i e tunisine/i, associazioni, operatori, studiosi che lavorano in e sulla Tunisia da numerosi anni, giornalisti ed esperti di Medio Oriente, ci preme offrire all’opinione pubblica un nostro punto di vista sulla realtà di Kasserine e della Tunisia.

Quanto sta accadendo in queste settimane, ossia le rivolte sociali che attraversano il Paese da sud a nord, si inscrive nel processo rivoluzionario avviatosi 5 anni fa proprio dalle stesse aree geografiche, marginalizzate in maniera sistematica e organizzata da uno Stato centralizzato sulla capitale e sulla costa turistica. Solo nel 2015 la Tunisia ha vissuto 4.288 proteste sociali, nella maggior parte dei casi passate in sordina anche dai media nazionali.

Le richieste dei giovani (e meno giovani) tunisini che (ri)occupano gli spazi in questi giorni rimandano alle questioni socio-economiche e alla revisione del paradigma del modello di sviluppo diseguale mai rimesso in discussione in questi anni di sperimentazione democratica. Le manifestazioni e i sit-in allargatisi a macchia d’olio in molte regioni del Paese chiedono l’apertura di processi di contrasto della corruzione dilagante nelle amministrazioni pubbliche e rivendicano il diritto al lavoro e alla dignità: parole d’ordine, queste ultime, che avevano riempito le strade già nel 2011.  Esse sottolineano l’indipendenza dai partiti, dalle associazioni, dai movimenti organizzati, in qualche modo assimilati al sistema.

La transizione politica, tuttora in corso, continua ad essere lodata dai media e dalle istituzioni europee che in questo processo avevano investito troppo per rischiare che fallisse. Ma la stessa transizione non ha saputo rispondere alle aspettative dei giovani che hanno spinto per il cambiamento del regime. Quegli stessi giovani che da tempo hanno lanciato l’allarme rispetto a una deriva controrivoluzionaria e liberticida del processo di transizione. La confisca della rivoluzione, sebbene ce ne fossero i primi segnali già dal 2011 e con il governo di coalizione diretto da Ennadha, è stata in seguito ufficialmente legittimata con il governo dei cosiddetti “laici”, tanto decantato anche dall’altra sponda del Mediterraneo. Con il governo “laico” i tunisini hanno vissuto un acuirsi delle politiche liberticide e un recupero del vecchio sistema anche in maniera ufficiale, come attraverso il progetto di legge per la riconciliazione economica sull’amnistia dei crimini economici attuati prima della rivoluzione, con il radicamento e l’inasprirsi della minaccia terrorista, su cui nessun dibattito serio è ancora stato avviato, minaccia che è servita a legittimare leggi antidemocratiche e violente.

Ricordiamo come il  terrorismo rappresenti in primis una minaccia per la popolazione e metta in discussione il sistema di sicurezza e di protezione dello Stato. L’episodio citato, ma non contestualizzat, nell’articolo di Quirico sul pastore decapitato riguarda la regione limitrofa di Sidi Bouzid ed è emblematico dell’abbandono sistematico che vive la popolazione di determinate aree del Paese. Inoltre, è estremamente riduttivo e strumentale affiliare tutto il terrorismo tunisino a Daesch – ricordiamo che nessuno degli attacchi terroristici realizzati finora in Tunisia è stato rivendicato dal “gruppo” Isis, tranne l’ultimo nel centro di Tunisi,  la cui rivendicazione.Peraltro,non è mai stata verificata. Il fenomeno terroristico in Tunisia ha radici socio-economiche profonde nel territorio e dinamiche complesse, alimentate anche dalla repressione pluriennale del movimento islamista. È pertanto fuorviante riferirsi alla galassia islamista tunisina come se fosse un tutt’uno e ridurre il territorio di Kasserine a “le montagne del Califfato”.

È vero, la rivoluzione del 2011 in Tunisia non ha ancora realizzato le aspettative di riscatto dei giovani. Ma ha lasciato nonostante tutto segnali indelebili. Tra questi, la liberazione della parola tramite la nascita di tantissimi media locali su vari formati, nati proprio sull’onda della fine della censura e l’apertura al pluralismo. Tra cui le radio, protagoniste incontrastate. Che oggi rivendicano un ruolo da giocare come fonti di informazione affidabili e di riferimento legittimo per costruire una nuova narrazione del paese, dentro e fuori, per evitare banali semplificazioni e interpretazioni strumentali della realtà.

Crediamo che i media dovrebbero interrogarsi e analizzare in maniera critica i processi in corso, approfondendo e dando una visione complessa dei fenomeni per facilitare la comprensione ad un pubblico vasto. Non è responsabilità di Kasserine né del popolo tunisino se i media europei si ricordano del Paese solo in casi sporadici e legati principalmente a violenze reali o presunte tali. Proprio a Kasserine, l’occupazione va avanti da più di dieci giorni: sfidando il coprifuoco, uomini e donne continuano a riunirsi  per discutere di diritti, e di lavoro, per criticare il livello esasperante di corruzione nelle istituzioni locali.

Infine, crediamo sia necessario denunciare quelle narrazioni faziose che scientemente sono mirate a creare paura e odio contro il mondo arabo, l’Islam e le migrazioni, generalizzando e non contestualizzando i fenomeni politici e sociali, ma anche avallando quel gioco delle parti dello scontro tra  ‘noi’ e ‘loro’, che, a nostro avviso, va assolutamente rifuggito.

Per ulteriori adesioni, contattare l’indirizzo e-mail:

Gabriele Proglio: gabrieleproglio@gmail.com
Debora Del Pistoia: deboradelpistoia@gmail.com

Prime adesioni

1. Gabriele Proglio, professore di storia contemporanea Universita di Tunisi El Manar
2. Debora Del Pistoia, cooperante e giornalista indipendente in Tunisia
3. Gianluca Solera, scrittore e attivista trans-mediterraneo
4. Damiano Duchemin
5. Martina Tazzioli
6. Lidia Lo Schiavo, docente universitaria
7. Marta Menghi, giornalista free lance
8. Rossana Pezzini
9. Alessia Giannoni
10. Natalia Romanó,insegnante di italiano L2 a Tunisi
11. Alessia Tibollo, cooperante in Tunisia
12. Albertina Petroni, cooperante in Tunisia
13. Luigi Giorgi, giornalista
14. Cecilia Dalla Negra, giornalista
15. Valentina Muffoletto
16. Micol Briziobello
17. Patrizia Mancini, responsabiledelsito Tunisia In Red
18. Santiago Alba Rico, scrittore
19. Mario Sei, docenteUniversita della Manouba, Tunisi
20. Hamadi Zribi, Tunisia in Red
21. Giovanna Barile, Tunisia in Red
22. Diego Barsuglia, fotografo
23. Anna Castiglioni
24. Chiara Loschi, dottoranda di ricerca in Scienza Politica, Universita degli Studi di Torino
25. Paolo Cuttitta, Universita di Amsterdam
26. Demichelis Marco
27. Grazia Vulcano, cooperante in Tunisia
28. Federica Zardo, ricercatrice
29. Christian Elia, giornalista, condirettore Q Code Mag
30. Jana Favata
31. Stefano Barone
32. Stefano Pontiggia, ricercatore sociale
33. Sarra Labib Basha Beshai
34. Francesca Crispolti
35. Oriana Baldasso
36. Giulia Breda
37. Giulia Bonacina
38. Jolanda Guardi, ricercatrice
39. Francesca Biancani, docente a contrattoStoria e Istituzionidel Medio Oriente, Universita di Bologna
40. Marta Menghi, giornalista freelance
41. Sara Borrillo, post doc. Dip. AsiaAfrica e Mediterraneo, UniversitaLOrientale di Napoli
42. Lorenzo Feltrin, dottorando, University of Warwick
43. Marco Lauri, Docente a contratto di Letteratura e Filologia Araba, Universita di Macerata
44. Estella Carpi, Labanon Support e New York University (Abu Dhabi)
45. Lorenzo Declich, ricercatoreindipendente
46. Paolo Paluzzi, Tunisi
47. Clara Capelli, Cooperation and Developpement Network, Pavia
48. Anna Serlenga, regista e docente
49. Mattia Rizzi, coordinatoreprogetti (ADD Atelier pour le developpement durable)
50. Susi Monzali
51. Eugenia Valentini
52. Costanza PasqualiLasagni, umanitariaedanalista di medio oriente.
53. Joshua Evangelista, giornalista
54. Marta Bellingreri, ricercatrice, reporter Medio Oriente
55. Stefano Torelli, ricercatore
56. Sara Manisera
57. Lamia Ledrisi, giornalista
58. Elisa Giunchi
59. Kais Zriba, giornalista Inkyfada
60. Alessandro Rivera Magos, ricercatore
61. Mohamed Al Ahmadi, giornalista indipendente
62. Veronica Bellintani
63. Francesca Oggiano, giornalista pubblicista
64. Comitato Khaled Bakrawi
65. Fouad Rouehia, giornalista
66. Chiara Denaro, dottoranda in sociologia presso Universitàdeglistudi di Roma la SapienA e UAB (Universitatautonoma de Barcelona)
67. Damiano Aliprandi, giornalista e operatore sociale
68. Lucia Spata
69. Giovanni Piazzese, giornalista
70. Alice Bondi’
71. Hatem Salhi : corrispondente AlHiwarTounsi/Radio Kalima a Kasserine
72. Houssem Yahyaoui: giornalista radio Kasserine FM
73. Ali Rabeh: Direttore Radio Kasserine FM
74. Iain Chambers, docente di StudiPostcoloniali, Università l’Orientale di Napoli
75. Chiara Martucci, Milano
76. Nicola Perugini, Mellon Postdoctoral Fellow, Brown University, Middle East Studiesand ItalianStudies
77. Joy Betti, Bologna
78. Vanessa Roghi, docente di sociologia dei processiculturali e comunicativi, Università La Sapienza, Roma
79. Federico Faloppa, docente di Storiadella lingua italiana e Sociolinguistica, Università di Reading
80. Giulia Grechi
81. Ramona Parenzan
82. Ilaria Giglioli, PhD student, University of California, Berkeley
83. Vivian Gerrard
84. Caterina Miele, Università l’Orientale, Napoli
85. Betta Pesole
86. Valeria Deplano, Università di Cagliari
87. Giuseppe Acconcia, Il Manifesto, Università di Londra
88. Barbara Spadaro, University of Bristol
89. Fabrice Dubosc, etnopsichiatra e saggista
90. ChiaraLoschi, dottoranda di ricerca in ScienzaPolitica, UniversitàdegliStudi di Torino
91. Angelo d’Orsi, Docenteordinario di storia delle dottrinepolitiche, Università di Torino
92. Francesca Di Pasquale, Netherlands Institute for War Documentation, Historical researchs Department, Post-Doc.
93. Simona Wright, Professor in Italian Studies, The College of New Jersey
94. Marco Demichelis, Assegnista di Ricerca in StudiIslamici e Storiadel Medio OrienteUniversitàCattolicadel Sacro Cuore, Milano
95. Giuseppe Burgio, professore a contrattodell’Università di Palermo
96. Marzia Maccaferri, Associate lecturer, Goldsmiths, University of London
97. Giusy Muzzopappa, antropologa
98. Raffaella Biasi, Professoressa,  esperta di mondoislamico, laurea in arabo
99.  Dario Consoli, dottore di ricerca in filosofia, Università di Torino
100. Alessandro Vecchi, fotografo, New York
101. Sole Anatrone, dottore di ricerca, UniversitàdellaCalifornia, Berkeley
102. Ester Sigilló, dottorandaScuolaSuperiore Normale di Pisa
103. ChiaraEgidi, Brescia
104. Oriana Baldasso
105. Alice Conti
106. Valeria Verdolini
107. Serena Marcenò
108. Annalisa Cegna
109. Stefano Rota
110. Anis Azouzi
111. Francesca Biancani
112. Carmine Conelli, dottorando, Università l’Orientale di Napoli
113. FedericaZardo, Research Fellow, Università di Torino
114. Pina Piccolo, studiosa indipendente
115. Giuseppe Burgio, docenteUniversità di Palermo
116. Cristian Lo Iacono, Torino
117. Enzo Guarrasi, docente Università di Palermo
118. Goffredo Polizzi, dottorando Università di Warwick
119. Luigi Cazzato, docente di Letteratura Inglese, Università di Bari
120. Silvia Casilio
121. Benedetta Guerzoni
122. Lorenzo De Sabbata
123. Chiara Stenghel
124. Matteo Di Gesù, docenteLetteraturaitaliana, Università di Palermo
125. Paolo Fait, docente di filosofia, Università di Oxford
126. Elisabetta Dall’O
127. Lorenzo Mari, Università di Bologna
128. Marco Gatto
129. Teresa Degenhardt
130. Alessandro Ferretti, Università di Torino
131. Damiano De Facci
132. Francesca Coin, sociologa, Ca’ Foscari
133. Sabrina Marchetti, European University Institute
134. Tommaso Rebora, studente Università di Torino
135. Matilde Flamigni, studentessa Università di Torino
136. Angelica Pesarini, Lecturer in Socilogy (Race, Gender and Sexuality) University of Lancaster
137. Younis Kutaiba
138. Tullia Giardina
139. Chiara Egidi
140. Maaza Mengiste
141. Sole Anatrone, dottore di ricerca, Università della California, Berkeley
142. Gisella Costabel
143. Raffaella Biasi
144. OrianaBaldasso
145. Leonardo De Franceschi, docente di istituzioni di storia e criticadelcinema, Universitàdeglistudi di Roma Tre
146. Camilla Hawthorne, dottoranda Università della California, Berkeley
147. Valentina Migliarini
148. Chiara Giubilaro, Assegnista di ricerca, UniversitàBicocca, Milano
149. StefaniaVoli
150. Francesco Correale, Università di Tour
151. Cristina Accornero, Università di Torino, dottore di ricerca
152. Paola Rivetti, Dublin City University, SeSaMo – SocietàItaliana di Studio Mediorientali
153. Gaia Giuliani, post-doc Università di Coimbra, Centro de estudios sociales
154. Daniele Salerno, assegnista di ricerca, Università di Bologna
155. AlessioSurian, professore associato di didattica e pedagogia speciale, Università di Padova
156. Vincenza Petrilli, ricercatrice indipendente, Bologna
157. Tatiana Petrovich Njegosh, docente di storia della cultura americana, Università di Macerata
158. Mackda Ghebremariam Tesfau’ – UniversitàdegliStudi di Padova
159. Laura Ferrero, dottore di ricerca in antropologia, Università di Torino
160. Arturo Marzano, Professore di storiadel Medio Oriente, Università di Pisa.
161. Serena Marceno, Ricercatrice di FilosofiaPolitica e professoressa aggregata di Filosofia Politica e Human Rights: Theory and Policies, presso l’Università di Palermo
162. Marco Montanaro
163. Souheil Bayoudh, registatunisino
164. Gathia Mraieh (tunisina, abitante a Modena, operaia)
165. Chaker Haddad (tunisino, abitante a Modena, operaio)
166. Takoua Haddad (studentessa italo-tunisinanata a Kairouan e abitante a Modena)
167. Emanuele Venezia, docente di italiano Universita di Gabes
168. Giada Frana, giornalista
169. Alice Elliot, University College London
170. Rabii Ibrahim, attore
171. Rabii Gharsalli, fotografo

Il male della banalità

PER ADESIONI: informabene2016@libero.it

Siamo un gruppo di studiosi e docenti universitari di storia, letteratura e cultura dei paesi arabi, africani e islamici, e scriviamo dopo la pubblicazione di alcuni articoli sulla stampa italiana a seguito dei fatti di Colonia. Da essi è scaturito un dibattito pubblico superficiale, incentrato sulla paura dell’Islam, dell’immigrato, dell’arabo; focalizzato, in senso lato, sulla costruzione dell’arabo-musulmano come “altro” e, in quanto tale, “pericoloso”. Si tratta di un discorso che, come insegna uno dei testi fondanti degli studi post-coloniali (Edward Said, Orientalismo), ha radici storiche profonde, riproponendosi con recrudescenza in ogni momento di crisi. Riteniamo importante prendere posizione contro la stampa generalista che fa della banalizzazione e della schematizzazione, antitesi di ogni forma di analisi complessa e articolata, il mezzo di un progetto di disinformazione di massa quantomeno preterintenzionale.

In particolare ci ha colpito, il 10 Gennaio scorso, l’editoriale intitolato “Da dove viene il branco di Colonia” di Maurizio Molinari, già corrispondente da Gerusalemme per La Stampa e suo neo-direttore, oltre che autore del controverso instant book Il Califfato del Terrore (http://www.lavoroculturale.org/califfato-del-terrore/)”. Varie critiche sono state subito mosse al testo, un vero e proprio pamphlet. Ad esempio, il collettivo di scrittori WuMing (http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=232500) osserva come “nel generale squallore e servilismo”, sia tuttavia “importante segnalare passaggi di fase, salti di qualità, ulteriori salti in basso e spostamenti a destra”[1].

Concordiamo sul fatto che questo articolo sia un punto di non ritorno dell’informazione di bassa qualità che da anni sedicenti “specialisti” offrono al pubblico italiano. Ci pare che esso condensi in maniera esemplare una serie di strategie di riduzione del pensiero, di cui riteniamo gravi le ripercussioni sulla formazione dell’opinione pubblica. Nel suo articolo, in un crescendo di affermazioni a dir poco peregrine, Molinari inventa una vera e propria “genealogia della barbarie” araba, che sarebbe, a suo dire, basata sull’ “ancestrale” e “atavico” elemento tribale. Egli individua nel cosiddetto “senso di appartenenza tribale” la causa degli atti violenti contro le donne a Colonia. Tale sentimento (che Ibn Khaldūn, uno dei precursori della sociologia moderna nel XIV secolo, denomina asabiyyah), sarebbe stato temporaneamente “domato” dalle forme di controllo sociale esercitate dagli stati-nazione mediorientali, e sarebbe ora rinascente in seguito alla parziale disgregazione dei poteri statuali dell’area dopo le rivolte del 2011. L’editoriale-pamphlet si distingue per i toni caricaturali, per la totale a-storicità della sua fantasiosa teoria, per il disprezzo del più basilare fact-checking, anche in relazione ai fatti di cronaca dei quali pretende di fornire un’interpretazione storica e socio-antropologica.

A fronte di questo pericoloso riduzionismo, crediamo necessario introdurre una riflessione più ampia sul significato e sugli obiettivi del tipo di narrazione mediatica proposta non solo da Molinari, ma da molti giornalisti e intellettuali italiani.

Nel testo succitato, l’autore ribadisce come le violenze sessiste di Colonia siano state causate dal riattivarsi “dell’atavico tribalismo arabo”. I problemi di questa interpretazione sono fondamentalmente due: da un lato si presuppone un “eccezionalismo arabo” che non è fondato su alcun dato empirico; dall’altro emerge una totale ignoranza delle dinamiche storiche di sviluppo sociale e politico dei mondi mediorientale e africano moderni e contemporanei.

Indubbiamente il lealismo tribale è un fenomeno sociale esistente nelle aree geografiche in cui si sono sviluppate la civiltà arabo-islamiche. D’altra parte, esso ha caratterizzato l’organizzazione dei gruppi umani in altre aree del globo le cui società tradizionali erano di tipo segmentario e basate sul concetto di parentela, così come avveniva in Europa perfino all’interno degli imperi plurinazionali ben oltre il tardo Medioevo. Il tribalismo, quindi, non è ascrivibile specificamente al contesto semitico (pensiamo ad esempio ai clan celtici, alle gentes romane originarie, ai Baschi, alle popolazioni migranti dall’Asia centrale durante il III e IV sec. d.C….) così come pretende una cattiva divulgazione di una certa antropologia de-storificante o pseudo-folklorica intrisa di imperialismo coloniale – dalle cui scorie sarebbe necessario affrancare il discorso pubblico italiano e europeo.  Allo stesso modo, usanze come la razzia o la vendetta sono correlate con l’economia politica di società – per lo più nomadi – con una precaria disponibilità di risorse alimentari e non, come sembra ribadire il direttore della Stampa, con una supposta inferiorità culturale .

Altri usi o istituzioni citati dal giornalista, sempre a dimostrazione della primordialità, dell’atavismo e della “genetica” incompatibilità tra cultura araba e cultura occidentale, non sono esclusivi delle popolazioni arabo-musulmane (pensiamo all’uso del velo nell’antica Grecia, o a Bisanzio) e vanno invece visti come indicatori di una fase storica associabile alla sedentarizzazione e alla crescente stratificazione sociale ed economico-politica. Tali processi non avvennero certo nel deserto – che fa invece da sfondo a tutta la narrativa di Molinari – ma in ambito urbano. L’uso del velo – indicato nel testo pretestuosamente come chador, un tipo di velo specificamente iraniano che poco ha in comune con il “branco” stigmatizzato in quanto proveniente dal Medio Oriente arabo e dal Nord Africa – o l’istituzione dell’harem, sono costruzioni sociali che vanno contestualizzate nel tempo e nello spazio, e che con alcune varianti, sono comuni a tutte le forme di patriarcato.

Nello stesso ordine di riflessioni, la questione di genere nei paesi del Medio Oriente e del Nord Africa (generalmente indicati dall’acronimo MENA – Middle East and North Africa region), rappresenta un nodo molto complesso intorno al quale si articola l’evoluzione ugualitaria della società, ma è molto rischioso trattare tale argomento in modo culturalista.

Se è vero che la sessualità è un tabù in molti contesti pubblici (così come avviene, d’altronde, anche nei paesi di tradizione cattolica), affermare che i diritti delle donne nella regione MENA siano minacciati dall’Islam, inteso come entità astorica e misogina in sé, è fuorviante, perché in tal modo si trascura sia l’uso patriarcale dell’Islam a scapito di popolazioni in buona parte analfabete e in condizioni socioeconomiche precarie, sia il ruolo di primo piano svolto dalle donne nelle lotte di liberazione contro l’oppressione coloniale, sia gli sforzi di una parte delle società di quei paesi che attualmente combatte per l’affermazione e il rispetto dei diritti delle donne. Movimenti femministi, intellettuali, accademici e militanti, di ispirazione religiosa e laica, denunciano da decenni, in varie forme, le discriminazioni di genere; chiedono riforme ai governi, sono promotori di progetti di sensibilizzazione ai diritti umani all’interno delle loro stesse società, propongono reinterpretazioni coraggiose delle Sure del Corano. Quale spazio viene concesso a questi attori sociali sui nostri media? Molto poco. Esaminare la questione di genere nelle società a maggioranza islamica in modo culturalista significa trascurare i molteplici fattori che determinano la discriminazione e ignorare gli sforzi della società civile in favore dell’uguaglianza.

In una fase così delicata del multiculturalismo europeo e del più ampio contesto geopolitico, una simile analisi è funzionale a una rappresentazione razzista ed eurocentrica dell’Islam e delle culture arabe e dei molteplici mondi “altri” dai quali provengono gli attuali flussi migratori che si cerca di stigmatizzare in massa. Ci appare pericoloso e irresponsabile, da parte di chi è consapevole di avere una considerevole capacità di influenzare l’opinione pubblica, diffondere rappresentazioni come quelle qui descritte, che contribuiscono non solo alla cattiva informazione, ma spesso alla determinazione degli indirizzi politici e strategici dei governi italiani.

Gran parte della stampa odierna sembra completamente ignorare che gli stati arabi moderni non sono nati attraverso il “magico” contatto con l’Occidente per mezzo di  figure come quella, ridicolamente idolatrata, di Thomas Edward Lawrence, ma da processi di cooptazione dell’autorità locale assai complessi, funzionali a specifiche pratiche amministrative proprie delle potenze coloniali (la cantonalizzazione, il mantenimento di sistemi legali multipli, nazionale e consuetudinario nelle aree tribali, per fare due semplici esempi).  La storia del Medio Oriente e dell’Africa contemporanei non è basata sulla contrapposizione di paradigmi assoluti: tradizione vs/modernità  tribù vs/ Stato. In quelle regioni, come ovunque, la storia politica e sociale risponde ad un plasmarsi e riplasmarsi di valori simbolici e pratiche di potere, in processi indotti o maturati dall’interno, frutto di dinamiche alle quali non è estraneo il colonialismo europeo – colonialismo che ha spesso impedito l’emergere di strutture di potere alternative a quelle indotte dalle amministrazioni europee. In Africa e in Medio Oriente, cosi come ovunque nel mondo, tradizione e modernità non si configurano come opposti inconciliabili: segmenti di continuità tradizionale si alternano a fratture, in una dialettica che caratterizza tutti i processi culturali. Tristemente, ci sembra che gli unici soggetti che appaiono impermeabili a queste dinamiche, replicando stereotipi risalenti almeno a duecento anni fa, rimangano i giornalisti e gli intellettuali mainstream, forse più attenti a costruire narrazioni avallanti pratiche securitarie e neoliberiste, che non a spiegare i processi politici in corso.

In effetti, è intellettualmente meno impegnativo accontentarsi di paradigmi interpretativi che imbrigliano la complessità entro categorie fisse e contrapposte, che cercare di restituire le intersezioni della mutevole e molteplice natura dei fenomeni sociali.  Non sono le analisi, giocate su dicotomie e logiche binarie, diffusissime sui maggiori mezzi d’informazione, che offriranno all’opinione pubblica gli strumenti necessari per comprendere il presente. Al contrario, ora più che mai, familiarizzare con l’idea di complessità e interdipendenza è imprescindibile per evitare logiche di scontro e demonizzazione di differenze reali, e più ancora, immaginate.

Come cittadini e cittadine che da anni si dedicano allo studio del mondo arabo-islamico e delle società a maggioranza musulmana, animati da un forte senso di responsabilità civica, siamo pronti a dare il nostro contributo per svolgere un’azione di divulgazione che consideriamo essenziale nella presente congiuntura storica. Tuttavia, notiamo con sgomento e con crescente sdegno il proliferare di un giornalismo insinuante e sciatto che strizza l’occhio al sensazionalismo e alla spettacolarizzazione, che parla di alterità culturale e complesse dinamiche storiche, sociali e politiche con disarmante banalità e ignoranza niente affatto ingenua. Con uguale preoccupazione osserviamo che, da un lato, questo tipo di giornalismo evita sistematicamente di porre questioni critiche ai nostri governanti sulle loro responsabilità in materia di politica estera e migrazione; dall’altro, l’irresponsabilità dei nostri governanti li spinge ad attingere al giornalismo più approssimativo con l’intenzione di illustrare la complessità del mondo arabo-islamico.  Peraltro, le nuove sfide politiche e sociali che i grandi flussi migratori ci presentano attualmente vengono raramente discusse in relazione al modo in cui le società mediorientali, africane e l’islam sono raccontate e rappresentate.

Troppo spesso tale crisi dell’informazione in Italia e altrove viene giustificata dalle leggi di un mercato in continuo cambiamento, che esige puntualità e celerità della notizia, nonché la sua spettacolarizzazione. Se la tirannia di una notizia veloce, semplice, e capace di destare interesse pubblico porta al tramonto di analisi capaci di informare in primis, invochiamo un maggior coinvolgimento degli studiosi di queste aree nel processo di creazione dell’informazione, facendo ben attenzione a distinguere tra chi si dice “specialista” senza minimamente entrare in contatto con le società delle quali propone analisi generaliste e sommarie, e chi invece interroga queste società quanto la propria, producendo quello che in gergo si chiama un “sapere condiviso”.

PER ADESIONI: informabene2016@libero.it

[1] Si veda anche la recensione di tutti gli editoriali comparsi sul tema realizzata dal sito “Valigia Blu”: http://www.valigiablu.it/colonia-i-fatti-le-indagini-le-reazioni-il-dibattito/#dibattito

Primi firmatari:

  1. Giuseppe Acconcia, Il Manifesto e Università di Londra
  2. Umberto Albarella, Department of Archaeology, University of Sheffield (UK)
  3. Elena Baldassarri, docente di Storia ed Istituzioni Nordamericane, Università di Roma Tre
  4. Anna Baldinetti, Prof.ssa associata in Storia dell’Africa mediterranea e del Medio Oriente, Università di Perugia
  5. Bruno Ballardini, saggista, esperto di comunicazione strategica
  6. Ada Barbaro, docente a contratto traduzione arabo-italiano, Università degli studi internazionali di Roma.
  7. Enrico Bartolomei, Ricercatore indipendente
  8. Marta Bellingreri, ricercatrice, reporter Medio Oriente
  9. Erika Biagini, PhD student at Dublin City University, School of Law and Government, Ireland.
  10. Francesca Biancani, Docente a contratto, Storia e Istituzioni del Medio Oriente, Università di Bologna
  11. Raffaella Biferale, co-fondatrice del Movimento Femminista Internazionalista
  12. Carlo Bolpin, Presidente Ass. ESOSO, Venezia
  13. Barbara Bonomi Romagnoli, giornalista freelance e ricercatrice indipendente
  14. Sara Borrillo, Post-doc, Dip. Asia, Africa e Mediterraneo, Università L’Orientale di Napoli, UNDP Gender Expert
  15. Cristina Brembilla, Università degli Studi di Milano
  16. Alessandro Buontempo, docente a contratto di Lingua e letteratura araba, Università “G.d’Annunzio” di Chieti-Pescara.
  17. Marina Calculli, Fulbright research fellow, Institute for Middle Eastern Studies, The G. Washington University
  18. Francesca Calloni, laureata Cà Foscari di Venezia
  19. Federica Candido, Dottoranda UniCal – Université de Genève
  20. Matteo Capasso, PhD Research Student at School of Government and International Affairs, Durham University, Assistant Editor, Middle East Critique
  21. Clara Capelli, economista esperta di Medio Oriente e Nord Africa, Cooperation and Development Network- Pavia
  22. Alessandra Capone, Attivista per i diritti umani – Roma
  23. Romeo Carabelli, Univ. F. Rabelais – UMR 7324 CITERES, Tours
  24. Bianca Carlino, Traduttrice e docente di Arabo, The British Institutes, Torino
  25. Estella Carpi, Ricercatrice, Lebanon Support e New York University (Abu Dhabi)
  26. Raffaele Cattedra, Professore ordinario di Geografia, Dipartimento di Storia, Beni culturali e territorio, Università di Cagliari
  27. Francesco Cavatorta, Professore, Département de Science Politique, Université Laval
  28. Martina Censi, docente di Lingua e Letteratura Araba, Università degli Studi di Urbino Carlo Bo’ / Università Ca’ Foscari, Venezia.
  29. Fulvio Cervini, Professore Associato di Storia dell’Arte Medievale e Tutela dei Beni Culturali
  30. Isabelle Chabot, storica, Presidente della Società Italiana delle Storiche
  31. Giovanni Cordova, dottorando, Dip. Storia Culture Religioni, Università La Sapienza, Roma
  32. Igor Cherstich, antropologo, University College London
  33. Francesco Correale, CNRS – UMR 7324 CITERES, Tours
  34. Valentina D’Ambrosio, laureata in lingua e letteratura araba,Università L’Orientale di Napoli
  35. Luca D’Anna, Assistant Professor of Arabic, The University of Mississippi (Oxford)
  36. Cecilia Dalla Negra, Giornalista, Vice-direttrice di Osservatorio Iraq – Medio Oriente e e Nord Africa
  37. Giulia Daniele, ricercatrice, Instituto Universitário de Lisboa (ISCTE-IUL)
  38. Enrico De Angelis, American University in Cairo
  39. Rosanna De Longis, Direttrice Biblioteca di storia moderna e contemporanea (Roma)
  40. Sara De Simone, Dottoranda in Africanistica, Università degli Studi di Napoli L’Orientale
  41. Debora Del Pistoia, cooperante in Tunisia e giornalista indipendente
  42. Lorenzo Declich, Ricercatore indipendente in Islamistica e Islam contemporaneo
  43. Francesca Di Pasquale, Postdoctoral Researcher, Università di Niod – Amsterdam
  44. Rosita di Peri, Ricercatrice, Università di Torino
  45. Anna Maria Di Tolla, Prof.ssa associata in Lingue e letterature dell’Africa e dell’Asia, Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”
  46. Chiara Diana, PhD, History and Middle East Studies, UMR 7310 IREMAM, Université Aix-Marseille
  47. Maria Donzelli, Pres.ssa Ass. Peripli. Culture e Società Euromediterranee, già Ordinaria, Università L’Orientale di Napoli
  48. Leila El Houssi, Prof.ssa a contratto di storia dei paesi islamici- Università di Padova
  49. Sara Fani, post-Doc, Dep. of Cross-Cultural and Regional Studies, University of Copenhagen
  50. Ida Fazio, Prof.ssa Associata di Storia Economica, Università di Palermo
  51. Lorenzo Feltrin, dottorando, Department of Politics And International Studies, University of Warwick
  52. Veronica Ferreri, PhD candidate, SOAS, Londra.
  53. Francesco Finucci, MA student in International Relations, University of Birmingham e ricercatore  Terrorism and Political Violence Association
  54. Ersilia Francesca, Prof.ssa Associata in Storia dei Paesi Islamici, Università L’Orientale di Napoli
  55. Liela Gagni, sportello immigrati “Samarcanda”, Milano
  56. Gennaro Gervasio, Lecturer in Middle East Politics, The British University in Egypt – Il Cairo
  57. Mattia Giampaolo, Università La Sapienza di Roma
  58. Alessandra Gissi, ricercatrice Storia Contemporanea, Università di Napoli “l’Orientale”
  59. Elisa Giunchi, Università di Milano
  60. Jolanda Guardi, Ricercatrice, Universitat Rovira i Virgili.
  61. Laura Guidi, Università di Napoli Federico II
  62. Abdelkarim Hannachi, Università di Enna Kore
  63. Ashraf Hassan, dottorandom, Università degli Studi di Napoli “L’Orientale” e Universität Bayreuth (Germania)
  64. Giorgia Introini, Università Cattolica di Milano
  65. Cristiano Lanzano, Senior Researcher, The Nordic Africa Institute, Svezia
  66. Simone Laudiero, scrittore
  67. Marco Lauri, Docente a contratto, letteratura e filologia araba, Università di Macerata.
  68. Francesco S. Leopardi, Dottorando, Islamic and Middle Eastern Studies, University of Edinburgh
  69. Luca Leuzzi, ricercatore CNR, Roma
  70. Pietro Longo, Ricercatore in Storia dei Paesi Islamici, Università L’Orientale di Napoli
  71. Chiara Loschi, Dottoranda in Scienze Politiche Università degli Studi di Torino
  72. Giuseppe Maimone, Post-doc, CoSMICA – Centro per gli Studi sul Mondo Islamico Contemporaneo e l’Africa, Università di Catania
  73. Adelisa Malena, Università degli studi di Venezia Cà Foscari
  74. Patrizia Mancini, responsabile Tunisia in Red
  75. Antonio Manieri, post-doc, Dip. Asia, Africa e Mediterraneo, Università di Napoli “L’Orientale”
  76. Francesco Marilungo, PhD Candidate in Kurdish Studies, Institute of Arab and Islamic Studies,University of Exeter, UK
  77. Giulia Marroccoli, Università degli Studi di Torino
  78. Mara Matta, docente in letterature indiane e del sud-est asiatico, Università di Roma La Sapienza e Università di Napoli L’Orientale
  79. Nicola Melis, Università di Cagliari
  80. Dario Miccoli, Assegnista di ricerca e docente a contratto di Lingua e Letteratura Ebraica, Università Ca’ Foscari Venezia
  81. Daniela Minieri, laureanda in Studi Internazionali, Università degli Studi di Napoli L’Orientale
  82. Giusy Muzzopappa, Antropologa, PhD, Università L’Orientale di Napoli  
  83. Beatrice Nicolini, Prof.ssa Associata di Storia e istituzioni dell’Africa, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano
  84. Lea Nocera, Ricercatrice/Docente lingua e letteratura turca, Università di Napoli L’Orientale
  85. Stefania Pace Shanklin, già Funzionaria ONU nei paesi MENA.
  86. Maria Elena Paniconi, Ricercatrice in Lingua e letteratura araba, Università di Macerata
  87. Marianna Pastore, Dott.ssa in Studi dell’Africa e dell’Asia, Università di Pavia
  88. Chiara Pavone, Università di Roma.
  89. Nicola Perugini, Brown University
  90. Margherita Picchi, dottoranda, Università di Napoli L’Orientale.
  91. Caterina Pinto, docente a contratto, Lingua e traduzione araba, Università di Bari “Aldo Moro”
  92. Daniela Pioppi, Prof.ssa associata, Storia contemporanea dei paesi arabi, Università degli studi di Napoli L’Orientale
  93. Carmen Pisanello, laureanda in Scienze dell’informazione editoriale pubblica e sociale, Università di Bari “Aldo Moro”
  94. Gabriele Proglio, Assistant Professor in Contemporary History and Postcolonial Studies, Università di Tunisi El Manar, Research Fellow, European University Institute.
  95. Rodolfo Ragionieri, Professore di Relazioni Internazionali, Università di Sassari
  96. Andrea Rega, laureando in Cooperazione Internazionale, Sviluppo e Diritti Umani all’Università di Bologna.
  97. Marco Reglia, Università di Trieste
  98. Debora Ricci, attivista femminista, ricercatrice in studi di genere, docente, Università di Lisbona
  99. Paola Rivetti, School of Law and Government, Dublin City University
  100. Domenico Rizzo, Prof. associato di Storia contemporanea, Università degli studi di Napoli “l’Orientale”
  101. Marina Romano, Docente a contratto, Storia e Istituzioni del Mondo Musulmano, Università di Bologna
  102. Monica Ruocco, Professore di Lingua e Letteratura Araba, Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”
  103. Zineb Saaid, studentessa, Università Ca’ Foscari, Venezia
  104. Azzurra Sarnataro, Dottoranda Civil, Building and Environmental Engineering, Università La Sapienza di Roma
  105. Liuba Scudieri, Dottorato studi internazionali, Università l’Orientale di Napoli
  106. Simone Sibilio, Docente di letteratura araba Ca’ Foscari di Venezia, direttore master MiLCO
  107. Anita Silviano, attivista, co-fondatrice del Movimento Femminista Internazionalista
  108. Olga Solombrino, dottoranda, Università di Napoli L’Orientale
  109. Maria Rosaria Stabili, Università Roma Tre
  110. Maria Giovanna Stasolla, Prof.ssa Ordinaria di Storia dei Paesi Islamici, Università di Roma “Tor Vergata”
  111. Angelo Stefanini, Adjunct Professor, Centro Studi e Ricerche in Salute Internazionale e Interculturale (CSI), Universita’ di Bologna
  112. Alba Rosa Suriano, Ricercatrice Lingua e letteratura araba, Università di Catania
  113. Serena Tolino, Post-doctoral fellow, Università di Zurigo
  114. Emanuela Trevisan Semi, Università di Venezia Ca’ Foscari
  115. Rossana Tufaro, dottoranda, Studi sull’Asia e sull’Africa, Università Cà Foscari, Venezia
  116. Francesco Vacchiano, ricercatore, Istituto di Scienze Sociali, Università di Lisbona.
  117. Anna Vanzan, Iranista, Università degli Studi, Milano
  118. Alessandra Vitullo, dottoranda, Sociologia delle religioni, Università di Roma Tor Vergata.
  119. Hamadi Zribi, collaboratore Tunisia in Red

Aderiscono anche:

  1. Benedetta Baracchi
  2. Touhami Garnaoui
  3. Giorgia Ozzano
  4. Lucia Romani, Psicologa.

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