Wolfram Kuck recensisce il n. 49 di «Zapruder» e legge “la lunga storia delle lotte contro il colonialismo” come base “per una nuova concezione dell’autogoverno oltre i confini dello Stato-nazione”.
«A fronte dello scomposto vociare di sovranismi, identità, popoli, nazionalismi e regionalismi escludenti che caratterizza il tramonto delle categorie politiche novecentesche, questo numero prova la mossa del cavallo». Con questa frase inizia l’editoriale di apertura del numero 49 di “Zapruder”, Stati di Agitazione. Territori, Autogoverno, Confederalismo. La mossa del cavallo tentata da “Zapruder” si articola dunque su due passaggi. Il primo consiste nell’analizzare le convergenze, le contaminazioni, gli immaginari comuni e le fonti d’ispirazione collettive che hanno unito le lotte rivoluzionarie nel sud e nel nord del mondo durante «la stagione della conflittualità», ovvero il lungo ’68 che abbraccia grosso modo il periodo dalla metà degli anni Cinquanta alla metà degli anni Settanta (una prospettiva cronologico-analitica definita anche dei global sixties). Più specificatamente, l’obbiettivo è far emergere quanto in quel periodo siano state le lotte del sud del mondo a contaminare le idee e le pratiche e a creare l’immaginario che utilizzarono i movimenti rivoluzionari dell’Occidente. In altri termini, un rapporto centro-periferia rovesciato. Nella grande stagione delle lotte di liberazione nazionale dal dominio coloniale si affermarono infatti pratiche di lotta ed elaborazioni teoriche che evidentemente ponevano al centro della propria prassi e della propria analisi i paesi del sud globale. Nel contesto della decolonizzazione si affermò dunque una visione nazionalista progressista, una concezione del nazionalismo come forma di liberazione e di riscatto delle masse oppresse dai regimi coloniali. Un “nazionalismo di sinistra” insomma, radicalmente diverso dallo sciovinismo, dalla concezione reazionaria e autoritaria della nazione.
Il nazionalismo progressista del sud del mondo ha contaminato quindi sia nella prassi che nella teoria i movimenti dell’estrema sinistra europea e americana. Ciò è avvenuto sia nel caso questi ultimi avessero obbiettivi rivoluzionari all’interno di una nazione, sia se fossero motivati da spinte indipendentiste verso la nazione in cui agivano. Proprio sull’ispirazione e sugli insegnamenti che trassero i movimenti indipendentisti europei dalle lotte di liberazione nazionale nel sud si concentra l’articolo di Xosé Nùnez Seixas, Dieci, cento, mille fronti! Terzomondismo, anticolonialismo ed etnonazionalismo nell’Europa occidentale (1955-1975). In Irlanda, nei Paesi Baschi, in Occitania, in Corsica, in Bretagna, in Scozia, in Galles, in Galizia, in Catalogna e in Sardegna i movimenti e gruppi indipendentisti studiarono le teorie, le pratiche di azione e le forme organizzative dei vari fronti di liberazione impegnati nella lotta anticoloniale. Assolutamente emblematica in tal senso è l’elaborazione del concetto di “colonialismo interno” da parte del movimento indipendentista occitano grazie all’analisi di Robert Lafont. Venne così chiaramente segnata una linea di connessione tra le lotte di liberazione nazionale nel sud, con le rivendicazioni indipendentiste nel nord. Il concetto di colonialismo interno venne in seguito applicato anche dalle altre lotte indipendentiste europee per descrivere la propria relazione con la nazione “occupante”. Senza alcun rischio di idealizzazione acritica, “Zapruder”, affronta nel corso della sua analisi anche la contraddizione rappresentata dall’involuzione autoritaria in cui incorsero diversi regimi nati dalla lotta di liberazione dal giogo coloniale: un esempio su tutti quello del FLN algerino nella sua evoluzione dopo il colpo di stato del colonnello Houari Boumedienne nel 1965.
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