Il tema della sollevazione sociale in quanto momento esperienziale e sensibile si colloca al centro del numero 16 di «Socio – la nouvelle revuedessciencessociales», apparso a inizio marzo 2022. Alle riflessioni di Bertho, Hachette e Huët, sulla rivolta in quanto esperienza corporale e affettiva, si accompagnano alcuni approfondimenti sulle sollevazioni popolari che hanno scosso Cile, Stati uniti, Ucraina e Francia nel corso degli anni duemiladieci. È a partire dall’inchiesta sui Gilets jaunes (Gj) di Lille, realizzata nel corso dell’anno 2020 da Cécile Lavergne e Davide Gallo Lassere, che si sviluppa l’intervista proposta di seguito. Davide Gallo Lassere ha seguito in prima persona lo svolgersi dei movimenti sociali in Francia, come ricercatore e come attivista. Assieme a lui tracciamo un breve bilancio del movimento dei Gj, fra eredità politica e sfide presenti.
(intervista a cura di Nicola Lamri)
Partiamo dall’inchiesta che hai realizzato con Cécile Lavergne. Cosa ha significato svolgere un lavoro d’inchiesta con la “materia“ Gilets jaunes e in che modo essa si inquadra nella riflessione, più generale, sulla rivolta lungo la quale questo numero di «Socio» è costruito?
Sebbene abbia partecipato attivamente fin dall’inizio alla sollevazione, tale inchiesta è stata svolta a freddo, quando il movimento era ormai finito, ossia durante la primavera del 2021. È stata un’occasione per rivenire sull’irruzione – imprevista e potente – di una soggettività che ha stravolto il panorama politico francese (e non solo) a partire da una pratica, la sommossa, che, come spesso accade, attira grande attenzione su di sé e polarizza il dibattito. Non si è trattato per noi (come per gli altri interventi del numero di «Socio») di avere un giudizio morale o etico sull’uso della forza in chiave politica, ma di capire com’è stato possibile che una mobilitazione con quella composizione sociale e generazionale abbia assunto fin dalla sua prima apparizione pubblica un tale livello di scontro e antagonismo. In tal senso, i lavori di Alain Bertho, sulla ristrutturazione dello Stato e la crisi della rappresentanza, e quelli di JoshuaClover, sulla trasformazione del regime d’accumulazione capitalistico, ci paiono cruciali per imbastire un ragionamento teorico e politico sulla centralità del riot nel repertorio delle modalità d’azione più diffuse in queste prime fasi del XXI secolo. Ciò detto, i principali profili dei Gj non combaciano propriamente con le teorizzazioni – tutt’ora fondamentali a mio parere – di Bertho e Clover: non si tratta infatti né di giovani ragazzi di periferia, né di soggetti economicamente e socialmente “marginalizzati”, e ancor meno razzializzati, ma in larga misura di coloro che, durante il primo confinamento, sono stati chiamati lavoratori e lavoratrici “essenziali”, per lo più (ma non solo, soprattutto a Parigi) bianch* e abitanti nelle cosiddette periferie diffuse, ossia fianco anziché nel bel mezzo dei quartieri popolari. Per tale ragione, ci è sembrato necessario dar loro la parola, per esplorare il processo di soggettivazione che li ha portati a investirsi in modo così significativo – a rischio anche della propria incolumità fisica e giudiziaria – nella sollevazione.
Della miriade di foto e video dei Gj, un’immagine mi ha sempre colpito in modo particolare. Il primo dicembre 2018, l’atto III del movimento sconvolge Parigi. I video e le foto degli scontri attorno all’Arco di Trionfo fanno il giro del mondo e la mobilitazione raggiunge picchi di conflittualità inediti: il “popolo delle rotonde” inizia ad assumere i contorni di un movimento prettamente insurrezionale. Una scritta, tracciata durante quella giornata sulle mura esterne del palazzo che ospita la Corte dei conti, ha attirato la mia attenzione. In caratteri arabi, essa recita: «Ash-shabyuridisqat an-nizam». Letteralmente, «Il popolo vuole la caduta del regime». Trovo estremamente significativo il fatto che tale slogan, protagonista della fase rivoluzionaria che ha investito il mondo arabo-magrebino agli inizi degli anni 2010, appaia durante un appuntamento parigino dei Gj. Dove si colloca l’insurrezione francese del periodo 2018-19 rispetto alla cartografia globale della rivolta, della quale il presente numero di «Socio» cerca di ricostruire le coordinate?
Gli anni 2010 sono stati scossi da diverse tendenze. Da un lato, abbiamo avuto l’approfondimento della crisi capitalista, la radicalizzazione del neoliberalismo (con un’inquietante accentuazione dei suoi tratti autoritari) e l’ascesa delle nuove estreme destre (le quali, in diversi contesti nazionali, si sono diffuse a tal punto nella società da formare dei governi). Dall’altro, invece, abbiamo visto l’emersione di numerosi cicli di mobilitazione: occupazioni delle piazze, esodi di migranti, proteste antirazziste e contro le violenze poliziesche, scioperi di genere, marce climatiche, lotte di lavoratori e lavoratrici (dai conflitti degli operai cinesi nel 2010 agli oltre 250 milioni di scioperanti indiani durante la pandemia), ecc. Il biennio 2018-19, poi, è stato caratterizzato da una molteplicità di sollevazioni popolari inedite, la cui irruzione sulla scena globale ha impressionato per i livelli di antagonismo raggiunti. I Gj, con le loro singolarità ed elementi comuni, si collocano all’interno di questo panorama mondiale, senza dimenticare il salto di qualità che essi hanno impresso alle recenti proteste in Francia – il paese europeo in cui, tra gli attentati terroristi del 2015 e il primo lockdown, le contraddizioni sociali e politiche si sono espresse con maggiore intensità.
Questi vari cicli, malgrado i loro limiti e insuccessi, hanno riaggiornato le pratiche e gli immaginari di lotta, facendo circolare al di là dei confini nazionali parole d’ordine, modalità d’azione, forme di auto-organizzazione e rivendicazioni radicalmente progressiste, se non apertamente rivoluzionarie. Quanto ai Gj, sono state avanzate delle letture variegate, alcune più stimolanti, altre più criticabili: nelle prime fasi, vi è chi ha parlato di economia morale, chi di populismo dal basso; vi è stato chi ha insistito sulla centralità della democrazia radicale e chi sull’importanza dell’ecologia; chi ha sottolineato la dimensione esperienziale della rivolta, chi si è focalizzato sul riot, chi sui blocchi delle rotonde e la convivialità, ecc. A partire dall’attività militante e d’inchiesta svolta assieme ad altr* compagn* della Piattaforma d’Inchieste Militanti, una piccola ma significativa esperienza collettiva che si è sviluppata nella regione parigina tra la fine del2017 e l’inizio del2020, ritengo che sia più opportuno sottolineare due aspetti. Da un lato, l’articolazione tra diverse rivendicazioni (riassumibili in tre macro-questioni: più equità sociale, maggiore autonomia/partecipazione politica, giustizia climatica e ambientale); dall’altro, invece, la capacitàdi mettere in atto con grande intelligenza pragmatica e strategica la cosiddetta “pluralità delle tattiche”. Ciòè avvenutofin dalle primissime settimane. La diffusione territoriale delle occupazioni delle rotonde infatti (per bloccare la circolazione delle merci e rendersi visibili alla cittadinanza, e alle classi dominanti, tramite il gilet giallo fosforescente) è andata di pari passo con le pratiche di auto-inchiesta quotidiane (redigere i carnets de doléances e stilare liste di rivendicazioni), così come i picchi insurrezionali nei cuori dorati delle metropoli francesi degli atti settimanali non sonodissociabili dalle richieste – tutto sommato moderate – d’istituzione del Referendum d’Iniziativa Cittadina o dalla questionedegli aumenti salariali. In via di bilancio parziale, si può dire che i Gj abbiano catalizzato alcune istanze/pratiche dei primi cicli di lotta, anticipandone altre della sequenza 2018-19. Più in generale, tuttavia, quello dei Gjè stata una sollevazione durata oltre un anno, disseminato nei territori ed estremamente composito, il quale più di molti altri non si lascia ingabbiare in semplici schemi di lettura.
Come dici, il movimento dei Gj prende forma e si sviluppa nella lunga durata, conoscendo varie e differenziate fasi di sviluppo. È impossibile leggerne l’andamento senza prendere in esame la specificità del contesto politico francese entro la quale esso si svolge. In che modo si è articolato il rapporto con altri pezzi di società, e con altre istanze ed esperienze di lotta, e quali insegnamenti possiamo trarre da questa esperienza?
Tra le varie letture criticabili – che riprendono senza volerlo una distinzione governativa e poliziesca – vi è quella tra i veri Gj, i Gj autentici, e i falsi Gj, i Gj che si sono, o si sarebbero, se non gauchisés, per lo meno contaminati con pratichepoliticheantecedenti a novembre 20181. Se lasciamo da parte l’ideologia di Stato e massmediatica, così come certe analisi sviluppate da chi ha scambiato l’avvento del Natale con la fine del movimento, e se consideriamo invece il rapporto tra i Gj e le altre componenti che animano la sinistra partitica, sindacale, antirazzista e antagonista, possiamo identificare diverse fasi. Al di là delle coabitazioni più o meno riuscite, dubbie o opportuniste, in un primo momento, di costituzione della sollevazione, ha prevalso uno scetticismo reciproco, se non un’aperta ostilità. Da parte dei Gj non si voleva troppo avere a che fare con chi aveva tradito la causa di chi stenta ad arrivare a fine mese.La sinistra e i sindacati erano ritenuti conniventi con il potere e la loro semplice presenzarisultava doppiamente minacciosa: daun lato essapoteva allontanare non pochi Gj,mentre, dall’altro,si temevano tentativi di recupero e strumentalizzazione. In un secondo momento, a partire grossomodo da febbraio 2019, quando la sollevazione ha cominciato a instaurarsi nel tempo ed era oramai sicuro della propria “identità politica”, si è assistito a delle forme embrionali di alleanza (a febbraio, infatti, le piattaforme rivendicative avevano ormai preso una forma più stabile, mentre le componenti complottiste e fascistoidi erano state marginalizzate se non addirittura cacciate dalle rotonde/assemblee e dalle manifestazioni, specialmente dopo il tentativo di normalizzazione degli atti del sabato, avvenuto tramite la costituzione di un servizio d’ordine composto da personalità in vista della destra radicale). Se fin dall’inizio certe componenti “di movimento”, sindacati di base o collettivi antirazzisti sono intervenute in seno alla sollevazione dei Gj, a partire da febbraio/marzo 2019 sono le assemblee e i gruppi di Gj stessi che si sono messi sempre più a sostenere le altre lotte: ciò è stato particolarmente forte per quanto concerne le lotte settoriali di certi segmenti del mondo del lavoro (infermieri, pompieri, operai della logistica ecc.), ma anche per quanto riguarda le lotte territoriali. Tali alleanze sono state interessanti ma meno forti invece per le lotte femministe (attorno all’8 marzo), antirazziste (via la tematica sempre più presente della repressione poliziesca) ed ecologiste (a Parigi non tanto gli scioperi climatici di marzo e maggio 2019, quanto quello di settembre e la settimana successiva di azioni condotta da Extinctionrebellion, sostenuta – e radicalizzata – dalla presenza di molti Gj). È a partire da questo momento che si è parlato sempre più di gilet-jaunisation delle lotte, intendendo con ciò l’assunzione da parte delle altre componenti di piazza della capacità di iniziativa e della conflittualità di pratiche tipiche dei Gj: dopo quasi un anno di mobilitazione, era semplicemente impossibile attivarsi e contestare l’esistente senza essersi fatti attraversare dall’effetto Gj, il quale aveva marcato gli immaginari della contestazione.
Nel dicembre 2019, però,il blocco di Parigi da parte di ferrotranvieri e agenti della metropolitana in scioperocontro la riforma delle pensioni aveva suscitato forti speranze. Una convergenza fra il mondo tradizionale della lotta sindacale e le pratiche dei Gj sembrava allora possibile. È possibile parlare di un’occasione mancata?
Per quanto riguarda lo sciopero contro la riforma delle pensioni del dicembre 2019/gennaio 2020, mi limito a evidenziare in modo stenografico due cose: da un lato, è difficile pensare che le basi sindacali si sarebbero potute auto-organizzare con tale autonomia e determinazione senza quattordici mesi di Gj; dall’altro, è pur vero che le centrali sindacali hanno tentato di – e sono in larga misura riuscite a – riprendere in mano le redini della mobilitazione, lanciando un ampio sciopero nella speranza di riuscire a negoziare qualche briciola, trovandosi però di fronte un esecutivo impermeabile a qualsiasi forma di mediazione. Diciamo che se è mancata una cosa ai Gj è stato proprio il blocco dei luoghi di lavoro, o meglio la cessazione dell’erogazione di forza-lavoro; mentre se è mancato qualcosa allo sciopero contro le pensioni (al di là delle scelte delle centrali sindacali e dell’aggiustamento dei dispositivi di inquadramento poliziesco) è stato il superamento della forma-corteo tipica degli atti più conflittuali dei Gj.
Veniamo alla pandemia: essa ha rappresentato uno spartiacque per il movimento. Se un certo giornalismo embedded ha paventato fin dall’inizio lo spettro di una possibile gilet-jaunisation della crisi sanitaria, due anni dopo possiamo parlare di una forte polarizzazione, con fenomeni inediti come il movimento contro il Pass sanitaire o il Convoideslibértés, che tentano di occupare il vuoto lasciato dalla fine dei Gj. Tuttavia, la differenza quantitativa e qualitativa fra queste forme di espressione politica resta evidente e nessuna di queste ipotesi è riuscita a riaffermarsi in quanto “anomalia fondatrice”, in grado di incrinare le derive autoritarie insite nella gestione neoliberale della crisi sanitaria. Quali prospettive si aprono nella fase post-pandemica?
La tanto temuta gilet-jaunisation della crisi sanitaria, purtroppo, non è avvenuta! Sono riemerse, quelle sì, certe componenti non solo spurie, ma apertamente sporche che avevano caratterizzato i primi due mesi della sollevazione; mentre altre componenti, che avevano continuato ad animare la lotta dei Gj o che avevano sostenuto – più o meno criticamente ed efficacemente – le altre lotte, hanno “virato male”, assumendo delle posizioni cripto-cospirazioniste che nulla hanno a che vedere con il lascito della sequenza 2018-19, a prescindere dal fatto che si assuma un’ottica francese oppure globale. Come dici tu, gli elementi macroscopici di discontinuità che si danno tra Gj e movimento contro il Pass sanitaire o i Convois de laliberté sono più significativi dei flebili tratti ereditari.
In entrambi i casi, infatti, non vi è traccia delle principali peculiarità tipiche dei Gj: produzione autonoma di sapere dal basso, auto-organizzazione radicata nei territori e nei luoghi di vita, livelli di conflitto su vasta scala come raramente se ne è visti negli ultimi quattro decenni a queste latitudini, ecc. Per quanto riguarda la protesta contro il Pass sanitaire – in cui si miscelano più o meno indistintamente critiche legittime all’autoritarismo dell’emergenza sanitaria e complottismo no-vax confusionista – vi sono stati dei deboli e sporadici tentativi, nella tarda primavera del 2021 (a Parigi e in altre città), di riproporre un metodo di intervento analogo a quello avuto nelle prime fasi dei Gj: una sorta di “dentro e contro” volto a lavorare il movimento dall’interno. Va però sottolineato come, al di là di certe realtàlocali (Rennes, Avignone), fin dalle primissime settimane tali sforzi si sono rivelati infruttuosi: le parole d’ordine sono rimaste incentrate attorno alle “libertà individuali”, le pratiche non hanno mai decollato e la presenza dell’estrema destra (anche quella istituzionale) è stata fondamentalmente egemonica. Per quanto riguarda il Convoglio, invece, mi pare che anche i pochi che abbiano provato a seguire l’iniziativa si siano presto disillusi. Diventa perciò difficile pronunciarsi oggigiorno sulle prospettive. Di sicuro, nei mesi a venire il dibattito politico si sposterà sulla guerra in Ucraina e sulle elezioni presidenziali: se la prima questione può dar luogo a un movimento pacifista da seguire con attenzione per via di certe potenziali ambiguità (demonizzazione della Russia, filo-atlantismo, ecc.), la seconda – a parte il dominio pubblico del macronismo– prefigura degli scenari ancora troppo indeterminati per il momento.
Note
1. È del resto sufficiente aver fatto un minimo di inchiesta dentro al movimento reale (e non quello immaginario) per rendersi conto che, se una buona parte dei Gj (in particolare i più giovani) sono effettivamente dei manifestanti alle prime armi, un’altra parte significativa è invece costituita da dei delusi della politica di sinistra ed ecologista degli anni 1980-90 – la composizione generazionale dei Gj, è bene ricordarlo, essendo principalmente fatta di quaranta/cinquantenni. (torna su)