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Il punto non è cosa ma a chi?

Nei giorni scorsi il ministro dell’Istruzione e del Merito ha pubblicato le nuove indicazioni nazionali per l’insegnamento della storia nel ciclo della scuola primaria e secondaria di primo grado. Se ne sta parlando molto, nei nostri ambienti quanto meno, e molte associazioni hanno già espresso il loro parare nella maggior parte dei casi sfavorevole. Oltre a un’analisi dei contenuti riteniamo sia utile porsi la domanda a chi si sta rivolgendo il ministro con queste indicazioni? Questa prospettiva può essere utile anche per inquadrare più generalmente l’azione del ministro Valditara e le sue mezze riforme.

Il punto non è cosa ma a chi?

Francesco Pota

Fatico a trovare una definizione della scuola che sia davvero efficace. Mi sembra che, sia per definire a cosa serve e quali siano le sue vere finalità, sia per definire il suo stato di salute, sia per definire le persone che la frequentano, siano esse lavoratrici o studenti, ogni definizione che si legge o si propone non sia mai del tutto a fuoco. Senza voler essere provocatorio ma a mo’ di esempio, come docente di lettere in un Istituto Tecnico della profonda provincia milanese al confine con quella bergamasca (un luogo di daneè e produttività), provo sinceramente a fare una scuola che non sia strumento del mercato, a dare ai ragazzi e alle ragazze che ho il piacere di frequentare cinque giorni la settimana e sono nei miei pensieri per ben di più di 18 ore settimanali, una scuola che li aiuti anche a crescere guardandosi dentro e guardando con spirito critico il mondo attorno a loro; allo stesso tempo però un istituto tecnico da una formazione specifica e settoriale, ad esempio il corso Costruzione Ambiente Territorio l’indirizzo formerly known as Geometra, e quindi pensare che la scuola non abbia anche un risvolto di quel tipo mi sembra semplicemente impossibile.

In ogni caso una definizione mi è sempre difficile trovarla. Chi invece sembra non avere difficoltà è il Ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara: la scuola serve a trasmettere un’identità. Questo è uno dei punti su cui il ministro sta lavorando dal suo insediamento. Il ministro leghista sa come coccolare i e le docenti con frasi in loro difesa e misure sempre più severe per chi aggredisce. Misure punitive molto severe anche per chi fallisce prove di Educazione civica (non mi dilungo ora sulla questione ma ci tornerò sopra più avanti). Chi non dovesse raggiungere la sufficienza in quella materia, che è trasversale e gestita da tutto il consiglio di classe, dovrà sostenere un esame in cui dimostra di aver recuperato i temi affrontati quali: «educazione alla cittadinanza, all’educazione alla salute e al benessere psicofisico e al contrasto delle dipendenze, all’educazione ambientale, all’educazione finanziaria, all’educazione stradale, all’educazione digitale e all’educazione al rispetto» come ha dichiarato, ed è riportato sullo stesso sito del MIM, il ministro il 7 settembre 2024.

E da qui, credo, sia necessario partire per parlare delle nuove indicazioni ministeriali sull’insegnamento della storia. In molti e molte, a vario titolo coinvolti e coinvolte, hanno espresso i loro giudizi in merito e il giudizio non può che essere negativo a mio avviso. Come ha fatto notare la SISSCO, ad esempio, è difficile valutare il percorso delineato quando le indicazioni non sono per le scuole superiori di secondo grado ma solo per primaria e secondaria di primo grado. E questo non è un punto da poco, perché queste indicazioni non si sono spinte fino alla fine del percorso scolastico? Non è chiaro o almeno io non ho trovato spiegazioni in merito. Le 150 pagine di indicazioni hanno un intento di trasmissione di un’identità italiana precisa, con la riscoperta di una Historia magistra patriae. Non si può che condividere ciò che dice il comunicato della SISSCO: «Le indicazioni nazionali 2025 adottano una concezione pedagogica e politica della Storia che appare fortemente nostalgica del Novecento, sicuramente anacronistica rispetto alla realtà della disciplina.» La storia nella scuola deve insegnare la grandezza dell’Italia, le sue radici cristiane, per carità in termini puramente culturali, e le sue epopee.

Non sono in grado di fare una analisi compiuta delle linee guida e in parte da docente mi verrebbe da dire che di indicazioni nazionali non si muore. In questi anni la scuola ha assorbito e depotenziato molte riforme o indicazioni o interventi. Il modus operandi è stato poi sempre ristabilito. Prendiamo la stessa questione delle indicazioni nazionali: ora magari c’è chi si potrebbe essere chiesto cosa siano, in teoria sono ciò che ha sostituito i programmi già da diversi anni. Ma in realtà, i programmi non se ne sono mai andati, complici anche i libri di testo sopratutto per materie come storia. Quindi forse dovremo preoccuparci di queste linee quando sentiremo le case editrici annunciare un reale adeguamento dei libri di testo. I programmi, come ha detto Christian Raimo su Il Post, sono tecnicamente stati aboliti anni fa ma, aggiungo io, tornano come zombie, anzi non se ne sono mai andati e per tanti motivi. Anche queste indicazioni nazionali, come fa notare sempre Raimo, in fin dei conti sono state stilate da persona che pensano siano dei programmi. Ma perché quindi è giusto preoccuparsi per questa iniziativa, seppur un po’ sgangherata sembra, del ministro? Per una questione che forse è più ampia. Perché il ministro, mi pare, non abbia come primo interesse che queste indicazioni nazionali entrino in vigore. Certo ha una chiara e preoccupante idea di scuola, trasmissiva con gli e le studenti ben fermi e ferme ai banchi, in silenzio e che dicono si prof grazie prof ora si che ho capito prof, e queste indicazioni lo dimostrano. Ma ha uno scopo più ampio e che bisogna considerare. Per farlo dobbiamo guardare ad altre affermazioni e azioni ministeriali.

Partiamo dalla prima in assoluto, la trasformazione del nome stesso del ministero da Ministero dell’Istruzione a Ministero dell’istruzione e del merito. Più recentemente il ministro si è scagliato con una circolare contro il linguaggio inclusivo nelle comunicazioni delle scuole.  Vi è poi tutta la questione della condotta, e contro la scuola del ’68. Forse non dobbiamo solo inquadrare queste comunicazioni in termini di azione e ideologia politica contro le quali indignarci. Non che non lo siano ma forse c’è un altro aspetto, altrettanto centrale, da non sottovalutare. Non credo di sottovalutare il pericolo se dico che spesso queste grandi montagne hanno prodotto topolini. Il punto è anche chiedersi a chi si rivolge il ministro. In anni di politiche annunciate a colpi di slogan, spesso lontani dalla realtà, sopratutto sulla scuola, credo che porsi questa domanda non sia secondario. E la mia grossa impressione è che questa azione del ministro sia rivolta a un pubblico, perché non credo che chiamarlo elettorato sia corretto, che di questa situazione conosce poco. Se questo è evidente ad esempio nella lotta al linguaggio inclusivo che dalla mia piccola esperienza è molto poco diffuso nelle comunicazioni scolastiche, non viene usato il doppio genere figuriamoci la schwa, anche nell’inserimento della parola merito, o del voto in condotta, le parole del ministro sembrano molto televisive. Slogan, parole, rivolte a un pubblico che è convinto che le scuole siano tutte quelle di Classe 1999, e che pensano che per educare al meglio certi maranza potrebbero essere utili le punizioni, anche corporali. Sto volutamente esagerando ma non sarei stupito di non andare lontano dalla verità. Un ritorno ai bei vecchi tempi che risuona anche in dichiarazioni polemiche di pedagogisti spesso in televisione, un pubblico pronto a riceverle che è quello dei talk televisivi.

Tutto ciò non rende meno pericolosa l’azione del ministro, che non riesce a sopportare chi non è d’accordo al punto da creare un sondaggio proprio sulle indicazioni nazionali che non prevede valutazione negativa,  a mandare gli ispettori a una collega perché nota attivista cittadina e prevedere un nuovo codice etico per i e le docenti che, se tutto dovesse essere confermato, ne limiterebbe la libertà di espressione. La posizione politica di questo ministero è chiara e cristallina e si rivolge a una fetta di elettorato che vuole l’ordine e la disciplina e ha paura che tra chi insegna alle giovani generazioni ci siano infiltrati comunisti, come ai tempi di Berlusconi, omosessuali e chissà che altro. En passant ricordate il grande spauracchio della propaganda gender nelle scuole, ecco quello è il punto di partenza di questa situazione. In questo senso va anche letto l’intervento su Educazione civica di questo ministro: Valditara vuole dimostrare di essere colui che ha rimesso al centro della scuola l’ordine e la disciplina, costituzionale sia chiaro, e chi sgarra viene punito. Vi dico per esperienza diretta che anche colleghi e colleghe affascinate dalla possibilità di dare il 6 in condotta per fargliela capire a certi studenti, sono imbarazzati davanti alla norma confusionaria che non spiega, se un’insufficienza o un 6 in Educazione civica, che genera comunque un debito a fine anno, concorra alla bocciatura. E non si capisce nemmeno con che griglie e quale docente dovrebbe valutare le prove di recupero in Educazione civica, diritto o italiano e perché no arte visto che tutto il cdc sarebbe coinvolto?

Questa vaghezza è ciò che mi spinge a valutare molto l’intento di comparire sulle notizie e sui talk del ministro. Un po come la grande riforma degli Istituti Tecnici e Professionali, ridotti a 4 anni e con il collegamento diretto con il mondo del lavoro tramite gli ITS. Anche in questo caso Valditara ha lanciato la proposta che è passata come modernizzazione ma non si è ancora capito, dopo oltre un anno, come verranno riviste le indicazioni nazionali se il corso viene ridotto in durata e cosa intendesse il ministro quando diceva che non sarebbero state perse ore, forse che avrebbe aumentato le ore settimanali per recuperare quelle perse nell’ultimo anno? E nel caso chi sta lavorando a tutto questo? E poi… silenzio…

Non credo che sarebbe utile pensare che tutto passerà in secondo piano e la vaghezza sarà una protezione. Molto più utile però che agire di rimessa sarebbe agire d’anticipo. Rispondiamo noi a delle domande che comunque esistono, come si insegna storia nel 2025? Quali aspetti di contenuto e quali competenze dovrebbe stimolare? E tutto ciò ovviamente non vale solo per la scuola. Noi docenti dovremmo tornare a un protagonismo didattico che abbandoni la lamentela e riscopra il senso del nostro lavoro, oggi. Davanti a un Make School Great Again, dobbiamo opporre una nuova scuola democratica che sia inclusiva in termini concreti e reali, che integri le energie dei nostri e delle nostre studenti, che si ponga non al servizio di un mercato del lavoro che sarà diverso quando molti e molte di coloro che iniziano oggi anche solo le scuole superiori vi accederanno. Una nuova scuola, che pretenda investimenti e non lo sperpero di risorse, che non aspetti che il ministro le ridia autorevolezza ai e alle docenti ma che la conquisti autonomamente. Rivolgiamoci alle energie nostre simili nella società, senza sperare di far cambiare idea a chi nella scuola vorrebbe il ritorno delle bacchette.

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