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La convergenza necessaria

Giovedì 13 ottobre presenteremo per la prima volta il numero 58 di «Zapruder», “Ambienti ostili”. La presentazione sarà a Roma, al Radical Bookstore di via Pesaro 25. Parteciperanno Ilenia Rossini, curatrice del volume, Giulia Arrighetti e Salvatore Romeo (qua l’evento). Per lanciare l’evento, ospitiamo un articolo sulle convergenze del movimento ecologista in Italia contemporaneo. Buona lettura!

La convergenza necessaria, ovvero il futuro della lotta ecologista in Italia

di Giulia Arrighetti, Riccardo Carraro, Alberto Manconi

Nella primavera del 2020, l’ondata ecologista che continuava a ingrossarsi dal 2018 si è infranta contro il muro innalzato dalla pandemia da covid-19 e dalla schizofrenica gestione della stessa. Intanto, l’accelerazione della crisi ecologica che quei movimenti avevano reso evidente continuava senza sosta, e l’interrogativo sulle emergenze e sul modo di affrontarle si approfondiva (Malm 2020).

Nel mentre, venivano formulati foschi piani di ripresa economica a tinta “green” per superare la crisi pandemica. Il verde di quei piani di ripresa era talmente indecifrabile che, con sorprendente rapidità ed efficacia, tali piani sono stati convertiti in piani da economia di guerra, basati sul massiccio riarmo e sulla ripresa del carbone, sullo sviluppo di infrastrutture oil&gas alternative a quelle già esistenti tra Russia ed Europa e sul “sogno” del nucleare. Nessun pretesto, al pari di una guerra, avrebbe potuto giustificare in modo quasi religioso una nuova centralità della produzione energetica da fossile. I ridicoli risultati della “ambiziosa” Cop26 di Glasgow dello scorso novembre e il voto del parlamento europeo del luglio 2022 – che chiude la lunga partita dei movimenti climatici contro la vergognosa tassonomia europea includendo gas e nucleare tra le attività economiche sostenibili – gettano una luce comica e terrificante sui tentativi di cooperazione istituzionale atti ad evitare il collasso climatico. Tuttavia, il movimento ecologista non si è mai davvero fermato. Benché il periodo di mobilitazione del 2018-19 si sia interrotto durante la pandemia e la stessa Greta Thunberg sia sparita dai notiziari, il mare ha continuato ad agitarsi a tutte le latitudini. Non vi sono oggi territori, dell’occidente bianco come del sud globale, dove le questioni di ingiustizia ambientale non emergano nella loro drammatica concretezza – e dove, altrettanto, i movimenti per la giustizia climatica e ambientale non stiano convergendo con le lotte sociali, diventandone parte integrante.

Il nuovo numero di «Zapruder» propone una mappa importante delle lotte territoriali nell’Italia contemporanea. Tali lotte costituiscono punti di intensità radicale nel conflitto in corso tra ciò che abbiamo chiamato sopra movimento ecologista e il regime capitalista che ha di recente esplicitamente deciso di presentarsi, anche in Occidente, come regime in guerra e di guerra. In questa presentazione della rivista proveremo a fotografare il convulso momento presente per collocare tali lotte territoriali nel più ampio movimento ecologista – provando cioè a tener conto anche dell’attivismo climatico e delle ibridazioni che si producono tra questo e l’attivismo delle lotte territoriali. Per far questo, faremo riferimento a lotte e articolazioni ecologiste che si sono prodotte negli ultimi mesi e che “ci” hanno toccato, attraversato e trasformato come attivist* ecologist* la Laboratoria Berta Càceres e la Rete ecosistemica di Roma, #insorgiamo con Gkn e l’Assemblea ecologista toscana.

Prima di addentrarci dentro queste recenti esperienze, registriamo ancora una linea di tendenza più generale: nella letteratura sui movimenti sociali si parla di un passaggio, oggi in corso, da narrazioni apocalittiche a narrazioni post-apocalittiche sul cambiamento climatico (de Moor 2021). Joost de Moor spiega che gli/le attivist* per la giustizia climatica, anche quelli più concentrati a fare pressione pubblica sulla governance del clima agitando lo “spettro” di un futuro apocalittico, sono ormai consapevoli che la partita sulla mitigazione del cambiamento climatico secondo gli Accordi di Parigi appartiene al passato. La partita, per la governance del clima e al netto del “bla bla bla” dei governi occidentali, si è spostata su l’adattamento agli effetti del cambiamento climatico in assenza di piani realistici di riduzione delle emissioni di CO2. E proprio i governi occidentali alla Cop26 di Glasgow hanno esposto la propria visione: l’adattamento a cui ci si prepara non terrà conto del fatto che il sud globale sta pagando il prezzo più salato della crisi eco-climatica in atto, pur avendo responsabilità incomparabilmente inferiori sulle cause che hanno scatenato – e stanno approfondendo – tale crisi. Perciò nessuna “riparazione” è stata riconosciuta – “non hanno trovato i 100 miliardi promessi da Obama”, dicevano i quotidiani a fine 2021. La proliferazione dei fronti di guerra getta un’ulteriore luce sinistra sulle strategie di adattamento: le conseguenze della crisi eco-climatica saranno affrontate con più militarizzazione, autoritarismo e rafforzamento dei confini, con una gestione necropolitica che determina chi può sopravvivere e chi deve morire. Alla luce di ciò, qualsiasi piano di transizione energetica non è altro che un piano di guerra, per le risorse e per assicurarsi un migliore adattamento nel drammatico ritorno di conflittualità est-ovest. Necessariamente, anche dalla parte dei movimenti, l’urgenza si sposta sull’adattamento. Ciò non vuol dire abdicare alla fondamentale lotta per la riduzione delle emissioni. Al contrario, significa fare i conti con il fatto che questa lotta avrà tempi (troppo) lunghi e che la legittimità di mantenerla viva sarà misurata sulla capacità di tenuta dei progetti ecologici e politici dentro l’aggravamento della crisi eco-climatica. Passare a narrazioni post-apocalittiche significa allora costruire esperienze di lotta con intensità tali da produrre immaginari non-individualisti di uscita dalla crisi eco-climatica, anziché agitare (semplicemente) lo spettro futuro di tale crisi mentre essa si palesa ad ogni latitudine.

Si chiarisce così il valore preminente dell’indigenismo, il front-end di un movimento ecologista globale (Manconi 2021) che dimostra con la sua stessa sopravvivenza che non solo è possibile la resistenza, ma che, per quanto dolorosa possa essere, è l’unica forma di resilienza comunitaria e adattamento non-individualista nelle macerie del capitalismo.

Una giovane Berta Càceres con i suoi figli

Per una profonda assonanza di visioni il 6 marzo 2022 si è deciso di dedicare a Berta Cáceres – donna, indigena, femminista, ecologista, uccisa da sicari del capitale estrattivista e coloniale sei anni fa – l’occupazione della prima Laboratoria ecologista autogestita di Roma, nonché il primo spazio sociale del paese che assume come asse centrale della propria azione la questione ecologista. Questa dedica viene dal riconoscimento del valore politico propulsivo e dalla capacità di ispirazione della sua figura e della sua lotta per un contesto occidentale come quello metropolitano romano: «Berta no se muriò, se multiplicò!» gridano le attiviste del collettivo nelle manifestazioni. Berta ci insegna come la lotta ecologista si basi sulla convergenza con la lotta anticapitalista, transfemminista e antirazzista. E questo perché il nemico contro cui si scontra l’ideologia estrattivista, neoliberista e coloniale si realizza nell’oppressione e nella messa a valore dei corpi umani e non umani, dei territori visti come mere risorse da sfruttare in chiave economica e di gestione del potere. Berta credeva nella rivoluzione totale, nella capacità di costruire resistenza senza creare gerarchie tra le lotte ma assumendole nella loro radicalità e interezza: «Lottiamo per abbattere la dittatura, contro il capitalismo liberale e anche per smantellare il patriarcato e il razzismo. Sono processi di lungo periodo che hanno a che vedere con rivoluzioni e trasformazioni culturali più ampie. […] Siamo indigeni, comunità nere, contadine, di quartiere, comunità lgbtqia+, giovani, studenti, artisti, operai, operaie insegnanti, donne, femministe. Vogliamo rifondare il nostro paese in base a questa diversità e questa ricchezza» diceva l’attivista honduregna in una intervista raccolta nel libro Le rivoluzioni di Berta di Claudia Korol (2022).

Il meccanismo dell’oppressione e del sistema patriarcal-capitalista è quello di far credere alle popolazioni oppresse di vivere un destino ineluttabile. Per questo il contributo alla lotta ecologista da parte del transfemminismo – di un femminismo queer trasversale alle lotte, inclusivo, un femminismo fatto di alleanze che non parte da un soggetto “donna” essenzializzato –  è fondamentale nell’analisi dell’esistente grazie a una postura che tiene in considerazione le concrete differenze di vita e realtà di esperienze legate al genere, alla condizione fisica, alla classe, alla cultura, all’etnia e alla specie, ma anche perché permette di elaborare reali alternative all’oppressione. La ricerca di questa convergenza è appunto alla base dell’esperienza della Laboratoria ecologista autogestita Berta Càceres, nata per essere fucina della lotta ecologista nella metropoli, capace di promuovere l’intersezione tra l’ecologia, il transfemminismo e l’anticapitalismo, costruendo e praticando conflitto in sinergia con i movimenti cittadini e transnazionali.  Il collettivo ovviamente non nasce dal nulla ma si sedimenta a partire dalla crescita del ruolo della Rete ecosistemica cittadina, spazio di aggregazione intersezionale sul tema ecologista. Nei mesi di occupazione (sgomberata due volte) sono stati organizzati dibattiti, serate a tema, laboratorie intersezionali, corsi di riparazione biciclette, un orto, una taverna autogestita e soprattutto la Laboratoria è diventato il luogo aggregativo centrale delle battaglie ecologiste in città.

La ricerca della convergenza – come chiariscono giustamente alcuni degli interessanti contenuti presenti nel nuovo numero di «Zapruder» – è stata storicamente alla base delle esperienze di ambientalismo operaio degli anni ‘70, in quanto prime esperienze di lotta ecologista capaci di varcare i confini della fabbrica e formare alleanze tra differenti compagini sociali. Negli anni del boom economico e del massimo sviluppo ed espansione industriale italiana, le operaie, gli operai e le loro famiglie, svilupparono per primi la coscienza del costo che questo sviluppo aveva sulla loro salute e su quella dei territori in cui abitavano. Riallacciando i fili di quella storia “dimenticata”, il Collettivo di fabbrica Gkn ha impiantato la sua proposta politica sul legame con il territorio e con i movimenti ecologisti. Dentro quella fabbrica, occupata da ormai un anno, hanno così trovato spazio delle relazioni che intendono la lotta sindacale e la solidarietà in modo opposto all’assordante narrazione del “conflitto tra lavoro e ambiente”. Una prospettiva semplice ma inattuale: l’unico modo per salvare il proprio posto di lavoro è cambiare i rapporti di forza nella società. Su questa base, il Collettivo di fabbrica ha intrecciato legami con i movimenti studenteschi, delle donne, delle soggettività lgbtqia+, aprendo nuove traiettorie di soggettivazione politica. E infine, il Collettivo ha indicato chiaramente la crisi eco-climatica come il contesto in cui collocare l’urgenza di cambiamento del nostro tempo. I movimenti climatici ed ecologisti sono quindi diventati l’interlocutore prioritario del «convergere per insorgere», fin dal corteo di contestazione del G20 di ottobre 2021 organizzato insieme a Fridays for future Italia e al climate camp ospitato dal Laboratorio occupato Acrobax e organizzato dalla Rete ecosistemica di Roma, dove appunto, furono gettati i primi semi della Laboratoria ecologista Berta Càceres.

Pochi mesi dopo, un lento percorso di coordinamento ecologista sul livello regionale trovava spazio proprio alla fabbrica di Campi Bisenzio, riunendo assieme le operaie e gli operai, le attiviste e gli attivisti per il clima nonché vecchie e nuove lotte ambientali della Toscana. Quel percorso, che oggi continua come Assemblea ecologista toscana e ha permesso di re-immaginare le geografia dell’azione ecologista ed i confini delle lotte territoriali, ha organizzato la convergenza del 26 marzo a Firenze – giorno seguente allo sciopero globale per il clima del 25 marzo – con un enorme spezzone ecologista.

Tanto la Lea Berta Càceres quanto l’Assemblea ecologista toscana possono essere viste come espressione della necessità di superare l’impasse politica e organizzativa creata dalla pandemia, e allo stesso tempo un tentativo di immaginare pratiche e posizionamenti politici nuovi per il giovane movimento ecologista. L’occupazione romana, infatti, è riuscita a costruire un solido collettivo che ha saputo raccogliere attivist* che sentivano l’urgenza di una radicalizzazione nella lotta ecologista e al tempo stesso non si percepivano sufficientemente rappresentate dai movimenti transnazionali presenti coi loro nodi in città né dagli spazi sociali autogestiti storici. Questo stesso collettivo ha scelto la ripresa di una pratica tradizionale dell’opposizione sociale della città di Roma quale l’occupazione, declinandola alla luce delle evoluzioni intersezionali degli ultimi otto anni. L’Assemblea ecologista toscana ha invece radicalizzato la propria lotta costruendo uno spazio politico dove tener vivo il confronto su scala regionale tra singol* attivist* dei movimenti ecologisti transnazionali e gruppi di lotta territoriale, ma anche con esperienze urbane di lotta e di auto-formazione. Uno spazio politico ibrido, che tende alla combinazione tra riflessione e azione collocandosi su una scala geografica, quella regionale, che supera le ristrettezze imposte dalla narrazione dominante alla dimensione locale o urbana. E che permette di convergere laddove è più difficile e più cruciale, nei territori sacrificati. La natura ibrida di questo spazio politico, ha contribuito alla convergenza radicale con una rinnovata forza operaia, in grado di tenere da più di un anno una fabbrica in presidio permanente e rendere contagioso nelle realtà sociali ed ecologiste il coro «occupiamola», vero e proprio ritornello della convergenza in atto.

Foto dello spezzone ecologista al corteo del 26 marzo 2022 a Firenze.

In conclusione, le esperienze che abbiamo qui riportato indicano come sia sempre più importante costruire convergenza, nonché immaginari e pratiche di alternativa all’apocalisse sociale ed ecologica che stiamo – già oggi – vivendo. Naturalmente, tale convergenza dovrà essere ancor più forte in autunno, per il quale rilanciamo il #teneteviliberi del Collettivo di fabbrica Gkn. Tuttavia, sarà importante “coltivare” la convergenza per i prossimi anni di approfondimento della crisi eco-climatica, in modo da evitare il rischio di isolamento a cui sono soggette le lotte territoriali. Ed è per questo che la lettura di questo numero di «Zapruder» è importante, capace di nutrire l’immaginazione a partire dalle lotte territoriali e farci così sentire parte di una storia e di un presente della lotta ecologista che ci riguarda e ci sostiene, nonostante le quotidiane difficoltà che ogni singola esperienza territoriale incontra.

Bibliografia:

de Moor, J.
(2021) Postapocalyptic narratives in climate activism: their place and impact in five European cities, Environmental Politics, pp. 1-22

Korol, C.
(2022) Le Rivoluzioni di Berta, Alessandria: Capovolte.

Malm, Andreas
(2020) Corona, Climate, Chronic Emergency: War Communism in the Twenty-First Century, London: Verso Books.

Manconi, Alberto
(2021) Glasgow, tappa post(?)-pandemica di un movimento globale

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