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«A me il consenso sembra un po’ come la pastasciutta»

Ancora una volta, con il loro metodo più attento alla propaganda che al contenuto, ministri e deputati hanno affrontato una questione legata alla scuola: l’educazione sessuale e affettiva.

Al di là delle parole sguaiate del ministro Valditara, Elena De Marchi ha provato a fare una riflessione sullo “stato dell’arte” oggi nelle scuole e le sue prospettive.

Appunti (parziali e disordinati) per un’educazione sessuale e affettiva

Elena De Marchi

L’inizio. È maggio e in classe c’è il consueto corso di pochissime ore sull’affettività e la sessualità. L’operatrice chiede: «Riuscite a definire con le vostre parole cosa sia il consenso?». Dall’ultima fila un alunno, che chiameremo Andrea, alza la mano e dice: «Quando chiedo a un’altra persona se posso fare qualcosa prima di farla». Si parte da questa risposta per parlare di consenso, mentre l’avverbio “prima” continua a risuonare nella mia testa, come un campanello d’allarme che mi chiede di intervenire al più presto, se l’operatrice non lo farà. Aspetto ma non lascio correre. Intanto rifletto: siamo partiti bene? Penso di sì: Andrea, 13 anni, ha individuato una possibile e parziale definizione da solo, da lì in poi sta a noi, che abbiamo un ruolo educativo, e al resto della classe, magari a quelle e a quelli che ci hanno riflettuto di più, arrivare a una definizione più completa e più rotonda. La discussione continua.

Da anni – ho cominciato a lavorare a scuola nel 2005 –, a singhiozzo o con più continuità, gli Istituti della Secondaria di primo e secondo grado della provincia di Milano, in cui ho ricoperto il ruolo di insegnante di lettere, hanno promosso brevi corsi, progetti, varie attività concernenti l’educazione sessuo-affettiva, con associazioni, esperti, consultori pubblici e privati. In nome dell’autonomia scolastica ho visto alternarsi nelle classi davvero di tutto: dalle associazioni cattoliche più rigide, alle ginecologhe che parlavano “solo” di salute del corpo, alle cooperative sociali con cui ragazze e ragazzi dialogavano sulla prima cotta e su come gestire la frustrazione di un rifiuto. Progetti validi? Progetti da scartare? Progetti utili o inutili? Non saprei dare una risposta. Mentre mi interrogo sul mio vissuto da insegnante e sulle proposte educative rivolte alle scuole, nei giorni scorsi, il 16 ottobre, Save the children ha pubblicato il report L’educazione affettiva e sessuale in adolescenza: a che punto siamo?, un documento che chiunque lavori con ragazze e ragazzi nella fascia fra gli 11 e i 17 anni dovrebbe leggere e soprattutto – oserei  affermare –  dovrebbe leggerlo chi rilascia affermazioni sul fatto che siano le famiglie e le insegnanti (soprattutto se di scienze) a dover dispensare informazioni sui temi legati all’affettività, “al rispetto della donna” e alla sessualità e che non sono necessari progetti e attività curati dai cosiddetti esperti soprattutto se di “una certa ideologia” (Cfr. https://www.mim.gov.it/-/l-educazione-sessuale-in-aula-e-il-consenso-informato-l-intervento). Le ideologie che invece piacciono a chi è al potere vanno bene. Nel report emerge un dato significativo e che riporto, per esigenze di spazio, parafrasando: per quanto riguarda l’ambito scolastico, in linea con i pochi dati disponibili, meno di 1 studente su 2 (47%) dichiara di aver ricevuto un’educazione sessuale a scuola. Questa percentuale risulta più alta tra coloro che vivono al Nord, dove supera il 55%, ma scende sotto il 40% al Centro e al Sud. Nella maggior parte dei casi, l’educazione sessuale a scuola è stata affrontata però in modo sporadico e circa un terzo afferma che essa è stata affrontata in unico evento isolato di una giornata. Per quel che riguarda la Secondaria di primo grado – quella cioè dove insegno attualmente – ciò significa che del tema si è parlato in una sola giornata nell’arco di tre anni scolastici, preferibilmente in terza media quando hai già quasi 14 anni. Alle elementari si fa pochissimo o nulla, forse anche perché banalmente sapere come nascono i bambini è ancora considerato un tema scabroso, da gestire in famiglia e basta, oppure perché le logiche di potere fra maschietti e femminucce si pensa non esistano ancora e non le si vuole vedere.

Se allora si discute presumibilmente poco di questi temi a scuola, ovviamente ci si informa attraverso altri canali, come appunto viene confermato dalla ricerca di Save the children: la richiesta e la ricerca di informazioni sulla sessualità da parte degli adolescenti è soddisfatta per lo più dai genitori e dalle notizie sul web dove anche la pornografia assolve il ruolo di educatrice non solo alle pratiche sessuali (e anche su questo ci sarebbe da riflettere) ma alla sessualità stessa, tanto che una percentuale tra il 20 e il 30% di chi è stato intervistato  ritiene che essa sia «il modo più veloce per imparare molte cose sul sesso» e un aiuto per capire la sessualità. Probabilmente è davvero così, soprattutto se il mondo attorno è reticente.

Ci sarebbe da chiederci perché corsi così poco diffusi e in maniera poco sistematica, dunque, diano tanto fastidio al governo e ai suoi rappresentanti ma la risposta è ovvia e ce la fornisce Valditara stesso, commentando il testo del DDL intitolato Disposizioni in materia di consenso informato in ambito scolastico, in discussione a Montecitorio, in un’intervista del 6 ottobre a «Panorama»: «Non vogliamo l’indottrinamento all’interno delle nostre scuole, l’indottrinamento cosiddetto “gender”». È ammesso comunque l’intervento di esperti alla Secondaria di secondo grado ma «se dunque, per ipotesi, l’esperto non avrà caratura scientifica e svolgerà attività di propaganda, chi ha organizzato il corso ne dovrà rispondere». Come e secondo quale normativa attualmente non ci è dato sapere. Insomma, per evitare che alcuni vengano “indottrinati alla teoria gender” si evita proprio di elaborare attività su larga scala, che diffondano consapevolezza nelle e nei giovani e che – detto in maniera terra terra – contribuiscano a lavorare su temi come lo stare bene e sentirsi felici con i propri corpi, fare scelte consapevoli, innamorarsi, ma anche lasciarsi senza conseguenze e senza sensi di colpa, riflettere sulle conseguenze di un’educazione troppo rigida, essere sani e consapevoli.

L’educazione sessuo-affettiva è concepita come una serie di norme igienico-sanitarie per non ammalarsi e di lezioncine su come rispettare la madre, la moglie e la sorella. Delle relazioni fra maschi non si parla, della tossicità dei rapporti di coppia non si parla, non si parla di sistemi patriarcali, non si parla di “genere”, parola che fa tremare, perché “ideologica”, sebbene da trent’anni anche nelle università e anche nelle facoltà di storia esistano cattedre e corsi sulla “storia dell’identità di genere” (saranno tutti faziosi e ideologici e poi, si sa, la storia non ha basi scientifiche, è un raccontino da imparare a memoria!). Il caro vecchio nozionismo e l’idea che la visione del mondo sia una e una sola devono continuare ad andare a braccetto.

Tuttavia questa prospettiva del Mim così palesemente anacronistica è, come del resto altre dello stesso calibro, di sicuro destinata a fallire: la società è ormai permeata da nuove idee e anche le famiglie sono consapevoli di non essere in grado di sostenere da sole l’educazione della prole, tanto che il 95% del campione di genitori intervistati da Save the children desidera più educazione sessuo-affettiva (e su diversi temi) e non meno. Le e gli studenti inoltre non imparano, per fortuna, solo a scuola, anzi tutti noi abbiamo dubitato almeno in parte dei valori che ci sono stati trasmessi da essa e ci siamo comunque costruiti un’identità.

La scuola, infine, come ha affermato Francesco Pota sulla pagina web di SiM, «ha assorbito e depotenziato molte riforme o indicazioni o interventi. Il modus operandi è stato poi sempre ristabilito». Secondo Lea Melandri (Cfr. https://lespresso.it/c/attualita/2025/11/6/lea-melandri-corpo-scuola-violenza-donne-intervista/57872)  le nuove generazioni di insegnanti sono pronte a rispondere: «C’è una svolta, che spaventa la maggioranza di governo e ne scatena la reazione, ma indietro non si torna. […] Spero in una lotta comune contro l’oppressione con basi estese e il fulcro nel femminismo: il sessismo, del resto, è il fondamento di tutti i tipi di dominio che la Storia ha sperimentato».

Resta proprio questa istanza: se le nuove generazioni di insegnanti sono pronte a rispondere, la risposta dovrà essere organizzata e collettiva e bisognerà capire in quanti nel mondo della scuola condivideranno questa posizione o se, come succede da anni, ci si lascerà scivolare il malcontento addosso. Se ci si basa sulla buona volontà di chi lavora a scuola, siamo davvero certi che la scuola del futuro darà a ciascuno “secondo il proprio bisogno” oppure chi avrà la fortuna di incontrare un’equipe di insegnanti “sensibile” a certi temi o frequentare un certo tipo di istituto avrà banalmente più opportunità di altre di non rimanere incinta a 14 anni, di non diventare abusante, di non contrarre l’HIV, di essere consapevole delle violenze subite, anche di quelle più sottili? Può avere senso diventare parte attiva all’interno dei sindacati affinché essi si occupino di temi così ampi? Del resto sono proprio anche i sindacati, forse inaspettatamente, a essere riusciti a promuovere mobilitazioni politiche significative per Gaza, portando in piazza centinaia di miglia di persone, quando invece da anni il loro ruolo era relegato soprattutto alle vertenze e ai rinnovi contrattuali. Il fermento degli ultimi mesi rimarrà circoscritto alle questioni internazionali? La scuola per tutte e per tutti non si può fare solo con la buona volontà e la responsabilità dei singoli ma volendo e pretendendo di più. Non solo non si può tornare indietro ma è necessario andare avanti. Il finale. È maggio e siamo in classe. Andrea ha appena affermato che il consenso è «quando chiedo a un’altra persona se posso fare qualcosa prima di farla». L’operatrice del corso sembra soddisfatta di questa risposta. Dopo un po’ io e la mia collega in classe con me cominciamo a borbottare, chiediamo che si ritorni su quelle parole e domandiamo: «solo prima?». Alcuni maschi dicono sì, alcune femmine dicono sì. Poi interviene Gaia – la chiameremo così – che dice: «scusate non è che se sto mangiando una pastasciutta che mi sembra buonissima e poi ci trovo dentro un insetto morto, io vado avanti a mangiarla. Che schifo! A me il consenso sembra un po’ come la pastasciutta».

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